Acqua, la guerra segreta di Israele

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All’inizio di gennaio, dopo che le “forze ribelli” avevano preso Damasco e rovesciato il governo siriano, l’esercito israeliano lanciò un’avanzata incontrastata fino alle vicinanze della diga di Al-Mantara, una fonte d’acqua fondamentale per Deraa e la diga più grande della regione, situata nella periferia occidentale di Quneitra. 

I resoconti indicano che i carri armati e le truppe israeliane hanno creato avamposti militari, eretto cumuli di terra e imposto rigide restrizioni alla circolazione locale, consentendo l’accesso solo in orari specifici e prestabiliti. 

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Geopolitica dell’acqua

Le risorse naturali hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nel plasmare la geopolitica e, tra queste, le fonti di acqua dolce sono diventate sempre più contese. Mentre petrolio e gas dominano i titoli dei giornali globali, il ruolo indispensabile dell’acqua in agricoltura, industria e vita quotidiana la rende un fattore altrettanto critico per la stabilità globale. 

Con la diminuzione delle risorse di acqua dolce, aumenta il rischio di conflitti per questa preziosa risorsa, minacciando lo sviluppo economico e la stabilità sociale.

Storicamente, le nazioni hanno gareggiato per il controllo di territori ricchi d’acqua per proteggere rotte commerciali, stringere alleanze e guidare i progressi tecnologici. Le antiche civiltà, come i Sumeri e i Babilonesi, prosperarono sfruttando i fiumi Tigri ed Eufrate. Al contrario, le regioni povere di risorse spesso erano in ritardo nello sviluppo, limitando il loro progresso politico e tecnologico.

Oggi, la scarsità d’acqua continua a plasmare le strategie politiche regionali. Il bacino del fiume Nilo è un esempio notevole, dove Egitto, Sudan ed Etiopia sono bloccati in una disputa sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam. Questo progetto, la più grande iniziativa idroelettrica dell’Africa, ha aumentato le tensioni diplomatiche con l’Egitto, che dipende dal Nilo per il 90% della sua acqua dolce. 

Asia occidentale e Nord Africa affrontano scarsità d’acqua

La regione dell’Asia occidentale e del Nord Africa (Wana) affronta una scarsità d’acqua senza pari, con l’83 percento della sua popolazione sottoposta a stress idrico estremo. Secondo il World Resources Institute, 12 dei 17 Paesi più stressati a livello globale si trovano in questa regione, con Qatar, Israele e Libano che si classificano tra i primi tre. 

Inoltre, circa il 40 percento della popolazione mondiale dipende dai fiumi che attraversano i confini internazionali, rendendo la gestione transfrontaliera delle acque una sfida geopolitica critica. La recente incursione israeliana alla diga di Al-Mantara illustra in modo lampante questa realtà.

Si prevede che la domanda globale di acqua aumenterà del 20-25 percento entro il 2050, esercitando un’enorme pressione su regioni come Wana. Entro la metà del secolo, il 100 percento della popolazione della regione potrebbe affrontare uno stress idrico estremo, destabilizzando ulteriormente le relazioni politiche e aumentando il rischio di conflitti tra Stati sulle risorse idriche condivise. Tali tensioni sono già evidenti in Israele e in Siria, dove il controllo delle fonti idriche vitali è diventato un punto critico.

Le realtà e le ambizioni idriche di Israele

Il clima arido della Palestina e le limitate risorse idriche naturali hanno da tempo plasmato l’approccio dello stato di occupazione alla gestione delle risorse idriche, poiché i deserti costituiscono più della metà del suo territorio. Le principali fonti di acqua dolce del Paese includono il Mar di Galilea, il fiume Giordano e le falde acquifere lungo la costa e le montagne. 

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Tuttavia, i progressi tecnologici nella desalinizzazione e nel riutilizzo delle acque reflue hanno aiutato Israele a ridurre la sua dipendenza dalle fonti idriche naturali. Entro il 2018, Israele riutilizzava l’87 percento delle sue acque reflue trattate, principalmente per scopi agricoli.

Tuttavia, queste innovazioni hanno dei limiti. La desalinizzazione e il trattamento delle acque reflue sono costosi e non possono compensare completamente gli effetti del cambiamento climatico. L’aumento delle temperature, la diminuzione delle precipitazioni e la riduzione dei tassi di ricarica delle falde acquifere stanno esacerbando la scarsità d’acqua in Israele, così come i livelli d’acqua in calo, la crescente salinità del lago Kinneret e l’ulteriore desertificazione nel sud del Paese. 

Per affrontare queste sfide, Israele ha lavorato alla raccolta e al trattamento di circa il 94 percento delle acque reflue, l’87 percento delle quali viene riutilizzato, principalmente per l’agricoltura. Nel complesso, tra il 2000 e il 2018, la quota di prelievi di acqua dolce dell’agricoltura è scesa dal 64 al 35 percento dei prelievi totali di acqua. Queste sfide hanno costretto Israele a ricorrere alle fonti idriche regionali, come il fiume Yarmouk in Giordania e il fiume Litani in Libano, per soddisfare il proprio fabbisogno. 

Acqua pietra angolare della strategia di Israele

L’acqua è stata una pietra angolare della strategia di Israele fin dai primi giorni del movimento ideologico sionista. Da quando lo Stato è stato fondato attraverso guerre, occupazioni e negoziati con gli Stati arabi confinanti, l’accesso all’acqua è stata una priorità strategica per Israele. Questa strategia ruotava attorno alla massimizzazione dell’uso dell’acqua all’interno e all’esterno dei suoi confini, anche a scapito della sicurezza idrica dei Paesi confinanti.

I primi leader sionisti, come Chaim Weizmann, sottolinearono l’importanza dell’acqua proveniente da aree come il monte Hermon in Siria, recentemente occupato, e il fiume Litani in Libano, per l’irrigazione e lo sviluppo economico. 

Il fondatore del sionismo moderno, Theodor Herzl, sottolineò fin dall’inizio la necessità che lo Stato ebraico includesse il Libano meridionale, in parte a causa del contenimento di fonti idriche vitali. Il movimento sionista esercitò una pressione enorme durante la conferenza di pace del 1919 a Parigi, cercando di annettere le sorgenti del fiume Giordano, del fiume Litani e della pianura di Hauran in Siria alla Palestina. Tuttavia, queste richieste furono respinte dalla parte francese, che aveva il mandato sulla Siria e sul Libano in base all’accordo Sykes-Picot del 1916.

Nel 1941, David Ben-Gurion, che in seguito divenne il primo primo ministro di Israele, rivelò chiaramente che il futuro Stato di Israele desiderava ardentemente il fiume Litani, affermando: “Dobbiamo ricordare che il fiume Litani deve trovarsi all’interno dei confini dello Stato ebraico per garantirne la vitalità”. Dopo il 1948, Israele nazionalizzò le sue risorse idriche e lanciò progetti ambiziosi, come il National Water Carrier, per trasportare l’acqua dal nord all’arido sud. 

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Violazioni israeliane

Studi sulle acque, condotti durante gli anni ’30 e ’40, indicano che il Progetto Johnston del 1953 di Israele ignorò i confini politici dei Paesi del bacino del fiume Giordano, considerando il Mar di Galilea un bacino naturale di acqua fluviale. Tel Aviv pianificò di deviare il corso delle acque del fiume Giordano a proprio vantaggio, iniziando a implementare questi piani tramite la società israeliana Mekorot.

Questi sforzi consistevano nel deviare le acque del fiume Giordano e dei suoi affluenti verso il Mar di Galilea, il che portò a una diminuzione dei livelli delle acque del Mar Morto e alla riduzione delle sue aree, poiché si prosciugò a causa della deviazione dei corsi d’acqua affluenti per usi irrigui e per l’espansione agricola. 

Inoltre, l’elevato tasso di evaporazione derivante dalle alte temperature nella regione della valle del Giordano ha contribuito ad accelerare il declino del livello dell’acqua. All’inizio degli anni ’90, il livello dell’acqua del Mar Morto aveva raggiunto meno di 410 metri sotto il livello del mare, il che minaccia seriamente la sua esistenza come risorsa naturale unica.

Guerra del 1967 segnò una svolta

La guerra del 1967 segnò una svolta, poiché Israele ottenne il controllo su territori ricchi di acqua come la Cisgiordania, Gaza e le alture del Golan. Queste aree ora forniscono una parte significativa dell’approvvigionamento idrico di Israele. Tuttavia, questo controllo è avvenuto a spese degli Stati confinanti e dei palestinesi, che devono affrontare gravi restrizioni all’accesso all’acqua. Ad esempio, il consumo pro capite di acqua palestinese è in media di soli 20 metri cubi all’anno, rispetto ai 60 metri cubi di Israele.

Il regime israeliano regolamenta severamente l’uso dell’acqua da parte dei palestinesi, proibendo la perforazione di nuovi pozzi e imponendo multe per il superamento delle quote, mentre gli insediamenti israeliani non subiscono tali restrizioni. Il risultato è una terribile disuguaglianza nell’accesso all’acqua, poiché l’agricoltura palestinese rimane arretrata e inefficiente, mentre gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi godono di moderni sistemi di irrigazione.

La realtà allarmante nella Siria meridionale

L’incursione di Israele nella Siria meridionale evidenzia le sue ambizioni idriche in corso. I rapporti indicano che Tel Aviv ora controlla il 40 percento delle risorse idriche condivise tra Siria e Giordania. Dopo la presa della diga di Al-Wehda nel bacino di Yarmouk a dicembre, le forze israeliane sono avanzate verso la diga di Al-Mantara. 

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Il bacino dello Yarmouk è un’area strategicamente critica, che forma parte del confine naturale tra Siria e Giordania. La principale fonte d’acqua del bacino, il fiume Yarmouk, sostiene i terreni agricoli e fornisce acqua potabile alle comunità nelle regioni siriane di Deraa e Suwayda, così come nella Giordania settentrionale. 

Il fiume copre una distanza di 57 chilometri, 47 dei quali sono in territorio siriano, mentre il resto fa parte del confine tra Siria e Giordania. Sulle sue rive, la Siria ha costruito una serie di dighe, in particolare la diga di Yarmouk, oltre alla diga di Al-Wahda, che ha una capacità di stoccaggio di 225 milioni di metri cubi.

Queste dighe vengono utilizzate per irrigare vaste aree di terreni agricoli, stimate in circa 13.640 ettari, oltre a fornire acqua potabile ai villaggi circostanti attraverso importanti reti di pompaggio come la “Thawra Line”, che si estende dal bacino alla città di Deraa e alle sue campagne, fino alle campagne di Suwayda. Questa importante via d’acqua, tuttavia, è diventata vittima della più ampia strategia di Tel Aviv volta ad assicurarsi il predominio idrico nella regione.

Carenza di acqua ed espansione regionale

Nonostante queste sfide, le recenti azioni di Israele nella Siria meridionale esemplificano una strategia coerente per affrontare la carenza di acqua attraverso l’espansione regionale. I disordini politici in Siria hanno fornito un’apertura storica allo Stato di occupazione per promuovere queste ambizioni. 

In particolare, gli eventi che si stanno svolgendo nell’Asia occidentale dimostrano solo che il deterrente primario contro lo sfruttamento delle risorse idriche libanesi da parte di Israele è sempre stata una resistenza efficace.

Oggi, prendendo il controllo di infrastrutture idriche critiche, le ambizioni di Israele pongono minacce dirette a Siria, Giordania e Libano. Tuttavia, mentre la regione affronta crisi sempre più gravi, la gravità di questa strategia basata sull’acqua rischia di essere messa in ombra da preoccupazioni geopolitiche più ampie. È sempre più evidente che la sete di risorse idriche (e sangue) di Israele non conosce limiti.

 

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