Sfruttare i beni confiscati alla mafia è difficile. Il caso della Brianza

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L’ingresso di Casanostra, a Giussano. La palazzina confiscata alla mafia oggi ospita un centro per persone con disabilitàed è un bene simbolo per la legalità in Brianza – Web

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Lo dicono ormai da anni le indagini, gli studi ufficiali: Monza Brianza è la seconda provincia per insediamento della ‘ndrangheta in Lombardia (regione che, a sua volta, è la seconda in Italia per presenza di mafia calabrese dopo la terra d’origine). Certo, è una mafia che non spara più, tenta di non farsi sentire – per fare meglio i suoi affari; sembrano lontani gli anni dell’indagine Crimine Infinito (2010), che portò in carcere centinaia di affiliati e sollevò definitivamente il velo sulla criminalità organizzata lombarda. Ma il ricco territorio brianzolo resta un forte centro d’interesse per le mafie. Lo dimostrano i tanti beni confiscati alla criminalità che proprio in questi anni sono stati “liberati” da vincoli e debiti e sono effettivamente entrati nella disponibilità prima dello Stato e poi dei Comuni, ai quali tocca ora trovarne una destinazione. Un compito non facile che si scontra ora con fatiche burocratiche, ora con difficoltà logistiche ma qualche volta anche con mancanza di buona volontà.

Per capire lo stato della questione bisogna partire da Palazzo Isimbardi a Milano, sede della sezione settentrionale dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), un ente istituto il 4 febbraio 2010 – quasi 15 anni esatti fa – proprio per facilitare la procedura di assegnazione sia degli immobili e dei terreni sequestrati in via cautelare, sia di quelli confiscati al termine di un processo concluso che abbia dichiarato la colpevolezza degli imputati. La sezione “lombarda” dell’ente opera in realtà su tutte le regioni a nord dell’Emilia-Romagna ed è di due anni più giovane della casa madre che ha sede a Reggio Calabria. Fin dagli inizi vi lavora Roberto Bellasio, commissario di polizia in prestito alla nuova struttura e che in questi anni ne è diventato un veterano: nella sola Lombardia ha destinato circa 1.700 unità immobiliari (il conto è in subalterni catastali), di cui 190 sono localizzate in Brianza, sparse in 23 Comuni. Abitazioni, tra appartamenti, case indipendenti, ville e box; ma anche negozi, magazzini, laboratori e terreni: nella regione Monza è la seconda provincia più ricca di beni sequestrati dopo Milano. «Sicuramente – conferma Bellasio – la Lombardia fa la parte del leone. Il 50 per cento della nostra attività si concentra su questo territorio, anche se negli anni abbiamo constatato una crescita costante di procedure anche nelle altre regioni di nostra competenza».

Un tesoretto indubbiamente interessante in sé per chi se lo ritrova tra le mani ma anche una bella occasione per dare una forma evidente e ricca di significato alla lotta alla criminalità organizzata. Secondo quanto previsto già dalla legge 109 del 1996 che vincola il riuso di questi beni a scopi sociali, infatti, è come se il bene avvelenato dalla criminalità fosse restituito alla collettività quasi a titolo di rimborso. «Proprio seguendo questo principio – continua Bellasio – possono manifestare interesse all’acquisizione i Comuni, la provincia e la regione. I municipi sono l’ente principe, perché più degli altri hanno il polso sul territorio e contatti con associazioni e cittadini». Normalmente, dunque, i beni vengono affidati alle amministrazioni locali che poi li destinano direttamente a scopi sociali oppure, quando è impossibile, li mettono a reddito e usano i ricavi per progetti per la collettività o per la ristrutturazione di altri beni confiscati. Dal 2017 il Codice antimafia ha ritoccato la norma permettendo all’Agenzia di assegnare i beni confiscati direttamente ad enti del terzo settore, attraverso un bando. In tutti i casi l’obiettivo finale è far dialogare i vari interessi e collocare il bene nel migliore dei modi, normalmente attraverso un incontro tra le parti interessate. Non sempre però la procedura è facile perché spesso i Comuni non conoscono nemmeno l’Agenzia o non sanno come rapportarvisi. E poi c’è la questione economica. «Noi destiniamo i beni nello stato in cui si trovano e – rivela Bellasio – per la mia esperienza posso dire che raramente vengono consegnati arredati; molto più spesso sono strutture non finite, per le quali servono costosi lavori di ripristino. Queste attività sono tutte a carico del Comune riceve l’immobile, anche se a dire la verità la Regione Lombardia, ogni anno, apre un bando (con alcuni limiti di spesa) per il finanziamento di lavori sui beni confiscati».

Capita così che troppi beni non vengano assegnati e restino in attesa all’Agenzia per lunghi periodi. A volte vengono addirittura restituiti: in Brianza è capitato con due villette a Lesmo, il cui costo di mantenimento era particolarmente elevato, e a Muggiò con l’Hotel Imperial, un albergo di 28 stanze all’ingresso del paese, per il quale non si riuscì a trovare un impiego e che versa ormai in condizioni particolarmente disastrose. Oltre alle questioni logistiche, però, annota Bellasio, «ci rendiamo conto che alcuni Comuni sono propensi a prendere i beni confiscati per una maggiore sensibilità degli amministratori oppure, viceversa, evitano di farlo perché lo vedono solo come un problema in più. Ma soprattutto non tutti i sindaci conoscono bene le modalità di acquisizione e le potenzialità educative, civili, sociali di questi beni».

Per rimediare l’Agenzia propone corsi di formazioni rivolti agli amministratori e sta ultimando una nuova piattaforma online, Copernico, che sarà una specie di vetrina dove tutti gli enti interessati potranno visionare gli immobili e manifestare interesse in qualsiasi momento, velocizzandone l’assegnazione.





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