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Quasi la metà dei clienti ormai paga il conto al ristorante con la carta di credito. Ma se si vuol lasciare anche la mancia per il cameriere, nella maggior parte dei casi serve ancora il vecchio contante accanto allo scontrino. E se non hai spicci, pazienza.
Nonostante siano passati due anni dalla norma che ha introdotto la tassazione agevolata per le mance, molti Pos non sono stati ancora abilitati per pagarla in modalità digitale. Colpa delle banche, restìe ad aggiornare con tempestività gli apparecchi in dotazione ai clienti per la doppia «strisciata»: una per il conto (compresa di Iva) e una per la mancia, tassata dal 2023 al 5 per cento. Ma anche colpa dei titolari dei locali, molti dei quali ancora non conoscono la normativa in vigore e non la applicano.
In pochi, in bar e ristoranti, hanno un registratore di cassa che dà la possibilità di battere a parte la voce “mancia”. Pochissimi si sono dotati degli “smart Pos” più all’avanguardia, che sdoppiano i due pagamenti e permettono anche di suddividere l’ammontare delle mance tra i dipendenti.
Il risultato, oggi, è che o il cliente rinuncia a lasciare la mancia, privando quindi i camerieri di un guadagno in più. Oppure si trovano degli stratagemmi. Ad esempio: il cliente paga una somma superiore rispetto a quella scritta sullo scontrino, con il rischio però che il ristoratore si ritrovi l’Agenzia delle entrate alla porta. Oppure il titolare batte in cassa una bottiglia d’acqua o una bibita in più, che confluiscono però nel normale incasso, con tanto di Iva e tasse intere da pagarci sopra.
I dati di un’indagine di Fipe Confcommercio (Federazione dei pubblici esercizi) confermano la situazione di caos. Quasi il 62 per cento dei locali offre la possibilità di lasciare la mancia solo in contanti. E solo lo 0,8 per cento permette di pagarla tramite pagamento elettronico. E in effetti, se si va a chiedere ai ristoranti se siano dotati di un Pos abilitato alla ricezione delle mance, il 73,7 per cento risponde di no.
Prima del 2023, tutte le mance a camerieri e baristi (ma anche ad autisti e facchini) erano tassate in base alle aliquote Irpef, come il normale stipendio. Di norma, il titolare avrebbe dovuto aggiungerle alle buste paga. Ma nella pratica la mancia in Italia spesso ha rappresentato un modo per i camerieri di arrotondare stipendi non così alti (soprattutto rispetto ai colleghi della cucina). Spesso e volentieri in nero, cioè senza finire in busta paga e senza pagarci le tasse sopra. Una sorta di patto tacito per garantire la «pace sociale» nel ristorante, raccontano in tanti. Con i titolari che, non volendo alzare gli stipendi, chiudevano spesso più di un occhio.
Poi, anche per incentivare l’emersione del sommerso, la legge di bilancio 2023 ha stabilito che le mance siano tassate con un’aliquota ridotta del cinque per cento e che il datore di lavoro non paghi i contributi su questi importi. Sia che la mancia si paghi in contanti, sia in digitale. E con la legge di bilancio 2025, è stato aumentato anche dal 25 al 30 per cento il limite di detassazione, alzando da 50 a 75mila euro la soglia di reddito per l’esenzione fiscale.
In Italia la tip, mancia, non è obbligatoria come negli Stati Uniti o richiesta esplicitamente come in Messico, ad esempio (dove esistono i Pos che danno la possibilità di decidere la mancia in diverse soglie di percentuale sul conto). Ma da noi è comunque un’abitudine abbastanza diffusa per chi vuole premiare il servizio di un pranzo o di una cena ben fatti.
Secondo Fipe, circa il 60 per cento dei clienti italiani lascia la mancia più o meno frequentemente. E con i pagamenti digitali arrivati ormai a sfiorare quasi il 50 per cento sul totale, sempre più clienti chiedono di poterla pagare con la carta. Soprattutto tra i più giovani e tra i turisti stranieri, provenienti da culture in cui le tip sono molto diffuse. Ma nella stragrande maggioranza dei casi risulta, appunto, impossibile.
Molti ristoratori raccontano che, alla richiesta dell’adeguamento del Pos, intermediari e istituti di credito fanno resistenza. Mandare i tecnici nei ristoranti per aggiornare i Pos rappresenta un costo per le banche. Tant’è che in tanti si sono rivolti alla Fipe. E su pressione dell’associazione di categoria, alcune banche hanno rimediato. Ma sono ancora poche.
A inizio gennaio la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha riunito un tavolo tecnico con Fipe, Associazione bancaria italiana (Abi) e Associazione italiana prestatori servizi di pagamento (Apsp). E l’Abi si è impegnata a fare informazione tra i propri associati, in vista di un secondo appuntamento al ministero del Turismo, da cui dovrebbe partire poi una campagna congiunta di informazione con le associazioni di categoria di banche e ristoratori.
A pesare, però, è anche il fatto che quasi il 70 per cento dei ristoratori dice che non conosce la norma sul regime fiscale agevolato per le mance. La Fipe ha anche organizzato dei webinar informativi per gli iscritti sul tema. Anche perché il 79 per cento dei titolari dei locali ammette di non ricorrere allo sconto fiscale previsto ormai da due anni. Nel 35 per cento dei casi, dicono di non farlo perché sono i lavoratori a non volerlo. Nel 26,6 per cento dei casi, perché lo ritengono troppo complicato.
Alla situazione di stallo concorre certo anche la resistenza dei dipendenti, spesso non contenti dei propri stipendi, che con le mance «fuori busta» arrotondano parecchio. Alcuni datori di lavoro parlano anche di 200 euro, o più, al mese per dipendente. Che è molto più dell’aumento salariale negoziato da poco dai sindacati con il rinnovo del contratto di categoria.
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