Bruxelles – Donald Trump vuole mettere le mani su Gaza e trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”. In una conferenza stampa alla Casa Bianca con il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu (su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale), il presidente degli Stati Uniti ha esposto un piano che ha tutti i contorni di una vera e propria pulizia etnica. Acclamato immediatamente dall’élite politica israeliana, respinto dai principali alleati di Washington e dai suoi più importanti rivali, Russia e Cina. Da Bruxelles invece, per ora, non trapela nulla.
Sono ripresi da pochissimo i negoziati tra Israele e Hamas per limare i dettagli della seconda fase della tregua, che dovrebbe portare alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e al ritiro completo dell’esercito di Tel Aviv dalla Striscia, ma già il presidente americano rimescola le carte. E l’idea – finora – piace soltanto a Israele. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti “prenderanno il controllo” della Striscia di Gaza: “Ne saremo proprietari e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le pericolose bombe inesplose e di altre armi presenti sul posto”, ha affermato ai cronisti, aggiungendo inoltre che Washington “spianerà” gli edifici distrutti e “creerà uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e di alloggi per la popolazione dell’area”.
Di quale popolazione parla Trump non è dato sapere, ma sicuramente non i gazawi: Trump ha affermato che i quasi 2 milioni di palestinesi di Gaza dovrebbero trasferirsi nei Paesi vicini con “cuori umanitari” e “grandi ricchezze”. Ma né la Giordania, né l’Egitto, né tanto meno le monarchie del Golfo hanno mai aperto all’accoglienza della popolazione palestinese di Gaza. Nello scioccante piano della Casa Bianca, da “simbolo di morte e distruzione” la Striscia di Gaza diventerebbe una “Riviera del Medio Oriente”, dove “la gente del mondo” potrebbe andare a vivere.
Il tycoon newyorkese non ha escluso l’invio di truppe statunitensi per mettere in sicurezza l’enclave palestinese. “Per quanto riguarda Gaza, faremo ciò che è necessario. Se sarà necessario, lo faremo”, ha risposto ad un cronista. Trump ha inoltre annunciato che il prossimo mese prenderà una posizione sulla sovranità israeliana sulla Cisgiordania, aggiungendo che intende visitare la Striscia di Gaza, Israele e l’Arabia Saudita. Il supporto al trasferimento forzato degli abitanti dall’enclave palestinese e l’eventuale riconoscimento dei territori israeliani occupati nella West Bank costituirebbero un drastico cambiamento nell’approccio che Washington – seppur strettissimo alleato di Israele – ha tenuto per decenni. Quello del sostegno per la soluzione dei due Stati, secondo i confini tracciati dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e con Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina. Trump ha smentito in modo confuso: “Non significa nulla riguardo a due Stati o a uno Stato o a qualsiasi altro Stato. Significa che vogliamo dare alle persone una possibilità di vita, che non hanno mai avuto perché la Striscia di Gaza è stata un inferno per le persone che vi abitano”.
Dalla Cina all’Egitto, il “sud del mondo” respinge il piano di Trump
Per quanto Trump abbia sostenuto che “tutti quelli con cui ho parlato amano l’idea che gli Stati Uniti possiedano quel pezzo di terra”, le reazioni alla proposta dell’uomo a capo dell’esercito più potente del mondo sembrano di tutt’altro tenore. A partire da Hamas, che l’ha definito “ridicolo”: il portavoce Sami Abu Zuhri ha dichiarato che “la nostra gente nella Striscia di Gaza non permetterà che questi piani vengano approvati”, ribadendo che “ciò che è richiesto è porre fine all’occupazione e all’aggressione contro la nostra gente, non espellerla dalla sua terra”.
Il governo saudita, in una dichiarazione, ha minacciato che non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente. L’Arabia saudita ha respinto “qualsiasi tentativo di sfollare i palestinesi dalla loro terra”. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, dopo aver discusso con il premier dell’Autorità palestinese, Mohamed Mostafa, ha sottolineato la necessità che “i palestinesi rimangano a Gaza, visto il loro fermo attaccamento alla loro patria e il rifiuto di abbandonarla”.
Per la Turchia il piano è “inaccettabile”: il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha ricordato a Trump che “la guerra è iniziata proprio per questo motivo: la sottrazione di terra ai palestinesi” e assicurato che “non c’è nessuno spiraglio per una discussione su questo tema”. Contrari al trasferimento forzato dei palestinesi anche la Cina, che “ha sempre sostenuto che il dominio dei palestinesi sui palestinesi è il principio di base della governance post-bellica di Gaza”, e la Russia, secondo cui “la soluzione in Medio Oriente può avvenire solo sulla base della presenza di due Stati”.
L’Ue rimane in silenzio. Francia, Germania e Regno Unito: “Gaza è dei palestinesi”
Se dalle istituzioni europee non trapela nulla, dalle capitali cominciano ad arrivare reazioni preoccupate. Il ministro degli Esteri del Regno Unito, David Lammy, ha dichiarato da Kiev che Londra rimane convinta che i palestinesi debbano “vivere e prosperare nelle loro terre d’origine a Gaza e in Cisgiordania”, mentre per Parigi l’avvenire di Gaza passa per “un futuro stato palestinese” e non dal controllo “di un paese terzo”. Il Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri francese, ha ribadito “la sua contrarietà a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese di Gaza, che rappresenterebbe una violazione grave del diritto internazionale, un attacco alle aspirazioni legittime dei palestinesi, ma anche un forte ostacolo alla soluzione a due stati e un fattore di destabilizzazione per i nostri partner vicini che sono l’Egitto e la Giordania, oltre che l’insieme della regione”.
Perfino Annalena Baerbock, la ministra degli Esteri tedesca che qualche mese fa aveva dichiarato che la popolazione civile “perde il proprio status di protezione” quando è utilizzata come scudo umano, si è opposta con fermezza: “È chiaro che Gaza, come la Cisgiordania e Gerusalemme est, appartiene ai palestinesi. Esse costituiscono la base per un futuro stato palestinese”, ha affermato. Il vicepremier italiano, Antonio Tajani, ha sottolineato il no di Giordania ed Egitto che rendono “un po’ difficile” il piano di Trump. Ben più duro il capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti, che ha definito la “folle proposta” di Trump “un insulto alla pace e ai diritti del popolo palestinese”.
Dall’estrema destra all’opposizione, Israele con Trump
Da Netanyahu, agli esponenti dell’estrema destra sionista, al leader dell’opposizione israeliana Benny Gantz, Israele ha invece applaudito il piano di trasformazione della Striscia di Gaza suggerito da Trump. Un piano che “potrebbe cambiare la storia”, ha affermato il premier israeliano durante la conferenza stampa congiunta a Washington, definendo Trump “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca” ed elogiandolo per aver “pensato fuori dagli schemi con idee nuove”. Netanyahu ha inoltre ringraziato l’amministrazione americana per aver interrotto i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi (Unrwa).
Il piano di Trump rinvigorisce i leader dell’estrema destra. Itamar Ben-Gvir, ex ministro per la Sicurezza nazionale che si è dimesso dopo la firma della tregua con Hamas, ha rivendicato la paternità del piano e affermato che questa “è l’unica soluzione al problema di Gaza”, mentre Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, ha promesso che farà di tutto per “seppellire definitivamente” l’idea di uno Stato palestinese. Il piano è piaciuto anche al leader del partito di opposizione israeliano Unita’ nazionale, Benny Gantz, che ha elogiato le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti definendole “creative, originali e interessanti”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link