WASHINGTON. A Benjamin Netanyahu, premier israeliano e primo leader straniero a varcare la soglia dello Studio Ovale per un bilaterale, Donald Trump porrà alcuni paletti: riprendere i negoziati per la seconda fase del cessate il fuoco, liberare gli ostaggi, impedire ad Hamas di controllare la Striscia e abbracciare la visione del Grande Medio Oriente del nuovo corso di Washington, con tutte le tappe e i passaggi che esso significa e che oggi – dicono fonti dell’Amministrazione – “non possiamo certo precisare”.
Sui negoziati Netanyahu arriverà meno battagliero rispetto a qualche giorno fa. Lunedì sarebbero dovuti riprendere a Doha, ma la delegazione israeliana – ora guidata da Ron Dermer – non è ancora schierata. A Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa e all’inviato speciale Steve Witkoff Netanyahu ha garantito che i colloqui riprenderanno. Witkoff domani incontrerà in Florida il premier qatariota.
Al presidente Usa Netanyahu vuole chiedere garanzie alcuni fronti. La prima è la possibilità di riprendere il conflitto contro Hamas in caso di minacce alla sicurezza o dovessero riprendere gli attacchi; la seconda infatti è una polizza assicurativa contro l’Iran. Su quest’ultimo punto le strade fra Gerusalemme e Washington divergono anche se Trump ha tenuto a ribadire di essere il più filoisraeliano dei presidenti Usa e di averlo dimostrato nel primo mandato spostando l’ambasciata a Gerusalemme e assicurando a Israele la sovranità sulle Alture del Golan. Il via libera alla consegna delle bombe da 1000 chili – bloccate da Biden – è un’ulteriore tacca, secondo Trump, sulla scala della sua amicizia verso lo Stato ebraico.
Netanyahu invece vorrebbe un impegno Usa chiaro sul fatto che l’Iran non potrà avere mai l’accesso al nucleare. La soluzione sono attacchi preventivi sulle installazioni nucleari. Washington però non la ritiene la via migliore. Ci sono state nelle scorse settimane valutazioni, ma Trump non sembra incline ad aprire un fronte nuovo, anche perché le ultime valutazioni dell’intelligence Usa non confermano che l’Iran stia costruendo la bomba.
Trump vuole usare altri strumenti per indebolire ulteriormente l’Iran. Il presidente Usa ha rispolverato, firmando ieri un memorandum, la politica della “massima pressione” già sperimentata nel primo mandato. Il Dipartimento del Tesoro imporrà “misure economiche massicce”, fra cui sanzioni e un meccanismo per punire chi le viola. L’obiettivo è quello di stritolare l’economia iraniana agendo sul petrolio, fonti dell’Amministrazione si sono sbilanciate parlando di “portare l’export di greggio a zero”.
Sul tavolo del vertice però soprattutto cessate il fuoco e futuro di Gaza. Se la questione dei Due Stati – pilastro dell’approccio di Biden – è per ora un rumore di sottofondo, quella del ricollocamento dei palestinesi è il tema più stringente.
Trump è tornato sull’idea che aveva lanciato la scorsa settimana, ovvero garantire l’ospitalità ai gaziani in Giordania ed Egitto in primis. La bocciatura, sonora, giunta dal mondo arabo non ha scoraggiato Trump. L’idea di Trump giunge alla luce della missione di Witkoff nella Striscia di Gaza la scorsa settimana, primo funzionario americano a metterci piede da 15 anni. L’inviato di Trump – raccontano fonti dell’Amministrazione – è rimasto choccato dal livello di distruzione che ha portato poi il presidente a definire la Striscia “un luogo di demolizione”. L’idea, contenuta nell’accordo del maggio 2024, che la ricostruzione sarebbe durata 5 anni è stata definita “irrealistica e assurda” da Witkoff. «Serviranno 10-15 anni per ricostruire ed è disumano – spiega un alto funzionario – obbligare la gente a vivere in un luogo inospitale». Lo stesso Witkoff, parlando con i reporter prima del bilaterale, ha invitato a essere realisti. «Trump guarda la vicenda da un punto umanitario, ci sono persone sedute su pile di macerie e su migliaia di ordigni inesplosi. I palazzi sono pericolanti, possono crollare in ogni momento, non c’è luce, acqua, nulla. Quando il presidente parla di pulizia, intende rendere ancora abitabile la Striscia».
La strada è quindi quella di aiutare «le persone di Gaza a vivere una vita normale e garantire loro dignità, mentre la Striscia viene ricostruita». Da qui la proposta di Trump di ricollocare le persone e l’invito «ai nostri alleati arabi nella regione e insieme a Israele a trovare una soluzione creativa». Trump ne ha parlato con Netanyahu e ne discuterà la prossima settimana con re Abdallah di Giordania in arrivo a Washington. Una telefonata con Al Sisi è avvenuta ieri.
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