Omicidio Piersanti Mattarella, basta con questo refrain della pista nera

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In relazione all’omicidio di Piersanti Mattarella, vorrei evidenziare alcuni elementi tratti da documenti processuali. Giova dire che in alcuni interrogatori resi ai magistrati da Buscetta, Mannoia, Mutolo e Giuseppe Marchese, in ordine al delitto Mattarella, ero presente. Quindi mi riesce difficile comprendere come ancora oggi si continui a parlare di “pista nera”, quando la Cassazione l’ha cassata. Quello che non capisco è che ne parlano non comuni cittadini, ma personaggi esperti di scienza giuridica, giornalisti e politici.

Come nasce la “pista nera”? Il 15 maggio ’80 in un appunto del Sismi, classificato come “riservatissimo” e riferito al delitto Mattarella, si informava che il Sisde aveva acquisito notizie secondo le quali l’omicidio sarebbe maturato in ambienti mafiosi, e che era stato eseguito da un giovane proveniente fuori dalla Sicilia, appartenente a un gruppo terroristico. A questo si deve aggiungere il “modus operandi” di Cosa nostra, che sovente dopo un omicidio era solita spargere notizie false, finanche attribuire ad altri la responsabilità e quindi allontanare i sospetti su se stessa. Succede che dopo un’ora dalla morte di Mattarella, alle ore 14,45 del 6.1.1980, giunge all’Ansa di Palermo la rivendicazione: “Qui Nuclei Fascisti rivoluzionari. Rivendichiamo l’uccisione dell’Onorevole Mattarella in onore ai caduti di via Acca Larentia”.

Come si vede la “pista nera” viene partorita immediatamente dopo il decesso di Mattarella. Poi si scopre attraverso la dichiarazione dell’agente Sisde che la “confidenza” riferita nella nota anzidetta era stata propalata da Vito Ciancimino. Ed ecco la genesi della “pista nera”. Arriviamo al 28 ottobre ’82 e per la prima volta in un interrogatorio al G.I., Cristiano Fioravanti accusa il fratello Valerio dell’omicidio di Mino Pecorelli, su commissione di Gelli. Nel contesto afferma: “Un altro episodio delittuoso che, senza averne le prove, istintivamente ricollego a mio fratello Valerio è stato l’omicidio di un personaggio siciliano, non so dire se un uomo politico o un magistrato, che venne ucciso in una piazza o in una strada di Palermo in presenza della moglie”. Facendo illusioni che la vittima potesse identificarsi in Mattarella. Infatti, proseguendo afferma che il fratello Valerio nel 1980 era in Sicilia e: “Nel vedere gli identikit convenni, assieme a mio padre, che sembravano somigliare moltissimo sia a Valerio che a Gigi”.

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Il 5 luglio ’85, Cristiano viene interrogato dal G.I. di Palermo e sostanzialmente conferma le precedenti dichiarazioni. Seguiranno altri interrogatori, e in particolare su input del medesimo il 26 marzo ’86 incontra il dott. Vigna, rivelando che il fratello era l’autore insieme a Gilberto Cavallini dell’omicidio Mattarella. Tre giorni dopo, il 29, Cristiano viene interrogato dal G.I. di Palermo e dichiarava: “… Preciso che già nel 1982 io esternai la mia convinzione, sotto forma di supposizione, che mio fratello Valerio avesse ucciso un politico siciliano. Ricordo che ne parlai a proposito dell’omicidio Pecorelli con il magistrato che si occupava di quelle indagini. In realtà, io sull’omicidio Mattarella avevo appreso direttamente da mio fratello Valerio, ma ritenni all’epoca di esternare soltanto mie asserite supposizioni per saggiare quali fossero le reazioni di mio fratello.” Di seguito sciorina una serie di informazioni dettagliate sul delitto Mattarella, per concludere che era stato indottrinato da Angelo Izzo. Infatti, per la prima volta nell’interrogatorio reso a Roma l’ 8.5.1986, Cristiano afferma di essere stato convinto da Angelo Izzo a parlare dei delitti Mattarella e Pecorelli.

Il 30 marzo ’87 Cristiano scrive una lettera al G.I.: “Egr. Dott. Falcone, Le scrivo perché non sono sereno, non riuscendo a scindere la verità dalla falsità e rendendomi conto di essere stato influenzato da una serie di fattori che mi hanno portato a fare le dichiarazioni che ho reso davanti a Lei, oggi, dopo aver riflettuto a lungo non me la sento di confermare le suddette dichiarazioni.” Cristiano continua a fare dichiarazioni contrastanti: in alcune asserisce l’innocenza del fratello, in altre conferma l’accusa. Sta di fatto che nel 1995 la Corte d’assise di Palermo assolve Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, “per non aver commesso il fatto”. Il dott. Leonardo Agueci, Pg, propone appello contro l’assoluzione. Nel 1998, la Corte d’Assisi d’appello di Palermo conferma l’assoluzione di Valerio e Gilberto. Infine, nel ’99 la Cassazione conferma le condanne all’ergastolo alla “Cupola” per gli omicidi Pio La Torre, Michele Reina e Piersanti Mattarella, respinge il ricorso del Pg di Palermo che aveva accusato del delitto Mattarella Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini.

Come si evince, seppure in maniera schematica, ho evidenziato i passi salienti dell’iter processuale, e quindi mi sento di affermare che la “pista nera” altro non era che una bufala. Poi nasce anche la “pista bianca” del pentito Pellegriti, ma questa è un’altra storia. Sta di fatto che le due piste si sciolgono come neve al sole, e, quindi per favore basta con questo refrain della “pista nera”.



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