L’Italia degli aeroporti tra crescita e abbandono

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Sono stati diffusi dall’Ente Nazionale Aviazione Civile i dati di traffico degli aeroporti italiani dell’anno 2024. Il quadro che si ottiene da un’analisi dei numeri rispecchia la tendenza alla crescita alla quale si assiste in tutti i continenti, tuttavia osservando gli aeroporti italiani non mancano sorprese. Già nell’ottobre scorso erano stati registrati 20.147.584 passeggeri transitati con un aumento del 9% sul 2023 e del 19% sul 2019. E anche un +12% del traffico cargo e un +4% del numero di movimenti. Significa che nei nostri scali sono atterrati e decollati più aeroplani ma soprattutto più grandi, dimostrando la piena ripresa e crescita dei voli a lungo raggio, quelli che tardavano a riprendersi dopo la pandemia. Se Fiumicino ormai ha superato i 49 milioni di passeggeri, con un +21,4% sul 2023, Malpensa segna un +10,9% a 28.910.368 passeggeri, seguito da Bergamo Orio al Serio con 17.353.573 (+8,6%) e Linate a 10.650.990 (+13%). Bene anche Napoli con 12.650.478 (+2,1%) anche in considerazione della impossibilità dello scalo di crescere in termini di air-side (nuove piste) e quindi Catania che nonostante i fermi causati dalle eruzioni dell’Etna ha totalizzato 12.346.530 passeggeri (+15,0%). Seguono Venezia con 11.590.356 passeggeri (+2,3%) e Bologna a 10.775.972 (+8,1%). Facendo una media, il sistema aeronautico commerciale formato dagli scali italiani ha visto un aumento del 7,4%. Passando al cargo, il primato italiano è Malpensa, scalo dal quale sono passate 731.640,8 tonnellate di merci (+8,9%), dato che rappresenta oltre la metà del totale italiano di 1.249.595,6, ovvero +15,0% rispetto al 2023.

Tutto bene si potrebbe dire, invece no, poiché negli ultimi anni sono andati male aeroporti come Cuneo Levaldigi (nonostante una riserva di spazio aereo degna di un grande scalo internazionale), Trapani Birgi (destinazione turistica che sfrutta la pista di una base militare), ma anche Parma e altri aeroporti regionali. Entrando nel merito di Cuneo, da un lato non riesce a fare sistema con Torino Caselle, dall’altro è in un territorio turisticamente ancora poco noto, e ci vorrà tempo affinché possa attrarre vettori che vogliono operare in modo decentrato rispetto a Torino. E mentre a Parma non si capisce se si intende creare una alternativa a Bologna o cos’altro, all’Elba i residenti hanno votato no all’allungamento della pista che avrebbe consentito le operazioni a velivoli con 75-90 passeggeri, preferendo mantenere l’aeroporto dedicato al traffico aero-turistico. Che è prezioso, s’intende, ma che da solo difficilmente in Italia porta in attivo il suo bilancio. Perché con le regole europee attuali dell’aviazione, ma applicate nel contesto industriale italiano, difficilmente un aeroporto va in attivo sotto il milione di passeggeri, e posti come Ancona, Parma e Cuneo ne totalizzano la metà e devono essere mantenuti “in vita” da soldi pubblici.

In altri Paesi europei gli scali regionali funzionano diversamente: la gestione viene sovente affidata dallo Stato alle Camere di commercio locali, le società di gestione hanno un numero di dipendenti minimo e molto flessibile secondo la stagionalità del luogo, infine viene incentivato il traffico aereo interregionale, quello che l’Italia negli anni dell’ubriacatura da globalizzazione ha invece distrutto. Così a fare voli “salva tempo” a cortissimo raggio come può essere un Milano-Elba come un Parma-Trapani sono velivoli piccoli dal costo operativo contenuto ma appartenenti a vettori esteri che operano in regime definito di “Quinta libertà.”

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Eppure le strutture non ci mancano: Albenga per la Liguria ovest, Pescara e Foligno per l’Italia centrale e così via. Ed è incredibile che anche grandi aviosuperfici che in Francia e Germania svolgono un ruolo fondamentale per il tessuto aeronautico (emergenza, scuole, lavoro aereo), in Italia vogliano essere abbandonate perché “non portano soldi”, e siano viste come fossero “negozi” e non invece come risorse. Una di queste è la pista dell’Alvaro Leonardi di Terni, praticamente in abbandono, strategica in caso di emergenze ma ormai senza neppure più attività. In Francia e Germania si comincerebbe con l’aprire una scuola di volo, un ristorante a tema e utilizzare l’area per attività culturali. Da noi si cerca di trasformarla in grandi magazzini, campi da golf oppure parcheggi.

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