l’idea di includere i costi per la Guardia Costiera

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È solo questione di tempo prima che qualcuno si ponga la domanda alla Casa Bianca. L’Italia ha i conti in regola sulla difesa? Spende abbastanza per la Nato? Giorgia Meloni vuole farsi trovare pronta prima che quella domanda arrivi alle orecchie di Donald Trump. E presentarsi a Washington – dove potrebbe tornare per un bilaterale ufficiale tra marzo e aprile – con i conti rivisti. A Roma la caccia ai fondi è partita. Mentre a Bruxelles gli Stati Ue si dividono sul da farsi. Da settimane sulla scrivania della premier è atterrato un dossier aggiornato sulle spese militari. Meloni ne ha parlato con i ministri Guido Crosetto e Giancarlo Giorgetti in un recente vertice a tre a Palazzo Chigi, poi ha affrontato il tema al Consiglio europeo.

LA STRATEGIA

Per il 2025 l’Italia prevede di spendere l’1,57 del Pil nelle spese per la difesa. Troppo poco se è vero che la Nato fisserà il target almeno al 3 per cento al prossimo vertice, in programma a L’Aia. Per Trump dovrebbe essere ancora più alto: batte i pugni e chiede il 5 per cento. Ecco perché il governo si muove. Obiettivo: raggiungere entro il 2027 il target del 2 per cento, con almeno un anno di anticipo sulla tabella di marcia concordata all’epoca dal governo Conte. Come fare? Meloni ne ha parlato in più riunioni con i suoi ministri. Durante l’ultima, anticipata dal Fatto Quotidiano, Giorgetti ha avanzato la proposta di ampliare il perimetro delle spese militari. Ovvero conteggiare dentro gli impegni Nato capitoli che fino ad oggi sono rimasti fuori. Come il budget annuale delle Capitanerie di porto. Ovvero la Guardia Costiera – che risponde anche al ministero dei Trasporti di Matteo Salvini – impegnata a pattugliare il Mediterraneo e nelle operazioni di ricerca e soccorso dei migranti. E sorvegliare i confini, specie le rotte africane, è la tesi che il governo difenderà davanti agli alleati Nato, è una questione di sicurezza. Insomma urge allargare l’orizzonte, «altrimenti è impossibile» aumentare quella percentuale su cui sono fissati i riflettori Usa, ha ammonito il titolare del Mef.

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Fra le idee allo studio, il conteggio nelle spese militari di una parte dei fondi destinati alla Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri. Idea ambiziosa ma di non facile realizzazione, se è vero che già l’anno scorso i vertici della Nato ebbero da ridire sull’inclusione dell’Arma nel computo delle spese. I Carabinieri fanno controllo del territorio, è stata la risposta dei tecnici di Bruxelles. Non basta comunque. Serve accelerare e in fretta. Ecco perché durante la riunione a tre, la premier e i ministri avrebbero esplorato un’altra strada. Mettere in campo una quota dei fondi del Pnrr, il Recovery Ue di cui l’Italia si è accaparrata la fetta più grande cinque anni fa. Nelle prossime settimane il governo procederà a una nuova revisione del piano da sottoporre al via libera della Commissione. Sotto esame investimenti tra i 10 e i 12 miliardi di euro, impegnati soprattutto in progetti infrastrutturali. Ebbene, è qui che potrebbe aprirsi una finestra per spostare su altri capitoli di spesa una parte dei fondi statali. Altre risorse potrebbero sbloccarsi da fondi europei, spiegano fonti di vertice del governo. La logica politica dell’operazione è chiara. Nell’incertezza della partita per rivedere il Patto e sottrarre ai vincoli del deficit le spese militari, Meloni non intende restare ferma. Ovvio, si è detto, è in Europa che la caccia ai fondi militari richiesti da Trump può andare davvero a segno. In vista del Consiglio europeo informale di lunedì, Palazzo Chigi ha approntato un dossier con contributi di diversi ministeri.

Prende forma via via la strategia che il governo seguirà ai tavoli europei. Nelle prossime settimane entreranno nel vivo i negoziati per l’European defence industry plan (Edip), la bussola Ue per gli investimenti nella Difesa.

I NEGOZIATI

A Roma considerano assolutamente insufficiente il budget annunciato: solo un miliardo e mezzo di euro.

E intendono chiedere un corposo rifinanziamento dello European Defence Fund in vista del prossimo Quadro finanziario pluriennale: tra i 25 e i 30 miliardi di euro. L’ombra di Trump incombe sulle trattative. Ma i tedeschi e i “frugali” del Nord frenano. Nelle bozze a Palazzo Chigi si fa menzione di un’altra ipotesi allo studio con i partner Ue. Una «clausola di preferenza europea» per aumentare gradualmente «la percentuale di componenti di origine europea nei prodotti della difesa».

In altre parole, un canale prioritario per la componentistica Ue negli appalti di settore. Europe first, per parafrasare Trump che di certo avrà da ridire sull’iniziativa, penalizzante per le aziende americane. Il governo italiano e l’industria stanno difendendo l’idea di una clausola nei negoziati europei. «Spendere senza incrementare la produzione Ue sarebbe una follia industriale» spiega una fonte di vertice. Ma è massima l’attenzione a non incrinare i rapporti con il nuovo inquilino della Casa Bianca e per questo gli sherpa italiani sostengono insieme ai francesi, i polacchi e i baltici la proposta di prevedere “deroghe” ad hoc che permettano di acquistare con fondi europei armi ed equipaggiamento dal resto del mondo, dagli States alla Corea del Sud. È un equilibrio delicato. La caccia ai fondi italiani, la diplomazia in Ue, gli impegni con la Nato. Meloni vuole suonare la sveglia in Europa. E mettere in ordine i conti prima di rivedersi a tu per tu con Donald.

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