L’ascesa del potere tecnocratico nella smaterializzazione digitale

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Nel panorama contemporaneo assistiamo a una profonda trasformazione delle dinamiche di potere tradizionali, dove i cosiddetti “tecnoligarchi” – i proprietari delle maggiori piattaforme digitali – stanno emergendo come attori politici di primaria importanza, sfidando apertamente le istituzioni democratiche tradizionali.

Questo fenomeno si inserisce in quello che Byung-Chul Han definisce come l’era delle “non-cose”, dove il potere non si esercita più attraverso il controllo degli oggetti materiali, ma attraverso la gestione delle informazioni e dei flussi digitali. La smaterializzazione del potere, secondo Han, non lo rende meno reale o meno pervasivo; al contrario, la sua natura intangibile lo rende più capillare e più difficile da contrastare. Come evidenziato nel pensiero di Stefano Rodotà, ci troviamo di fronte a un fenomeno che sfida le tradizionali categorie giuridiche della dicotomia pubblico-privato.

Le piattaforme digitali rappresentano infatti un tertium genus, una forma ibrida che combina la natura formalmente privata dell’impresa con una sostanziale funzione pubblicistica. Questa duplice natura si manifesta nella loro capacità di esercitare una “giurisdizione globale” sui propri utenti, superando i confini territoriali e le tradizionali forme di sovranità statale.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Il potere “psicopolitico”

Byung-Chul Han – Licenza creative commons

La peculiarità di questo nuovo potere risiede proprio nella sua capacità di operare attraverso quella che Han chiama “psicopolitica”, ovvero un controllo che non si esercita più sui corpi ma sulle menti, attraverso la seduzione dell’interfaccia digitale e la manipolazione del desiderio. Riprendendo il pensiero di Maurizio Ferraris sulla “documentalità”, possiamo osservare come il potere delle piattaforme digitali si fondi proprio sulla loro capacità di gestire e controllare le “tracce” della nostra esistenza sociale.

Se “nulla di sociale esiste al di fuori del testo”, come sostiene Ferraris, allora il controllo sui documenti digitali – dai post sui social media ai dati personali – rappresenta una forma di potere fondamentale nella società contemporanea. Questa documentalità digitale si intreccia con quella che Han definisce come “trasparenza coatta”, dove ogni aspetto della vita viene registrato, tracciato e reso disponibile per l’analisi e lo sfruttamento.

L’attuale sfida dei tecnoligarchi all’Unione Europea, come evidenziato nel caso del Digital Service Act, rivela la difficoltà delle istituzioni democratiche nel regolare efficacemente questi nuovi centri di potere immateriale. La resistenza di figure come Elon Musk e Mark Zuckerberg alle normative europee non è semplicemente una questione di compliance aziendale, ma rappresenta uno scontro tra diverse concezioni della governance digitale e, più in generale, dell’ordine sociale.

La proposta di Rodotà

In questo contesto, la recente decisione di Meta di rimuovere il fact-checking, insieme alle politiche sempre più aggressive di controllo dei contenuti, solleva questioni fondamentali sulla natura dello spazio pubblico digitale. Come suggerito nella proposta di Rodotà per un diritto costituzionale di accesso a Internet, la sfida non è tanto quella di limitare l’accesso, quanto di garantire che questi spazi digitali rimangano effettivamente “piazze” democratiche, resistendo alla tendenza, identificata da Han, verso una progressiva atomizzazione e privatizzazione dell’esperienza sociale.

La soluzione a questa crisi di governance non può venire né da un completo laissez-faire digitale né da un controllo statale tradizionale. È necessario sviluppare nuove forme di costituzionalismo digitale che riconoscano la natura ibrida delle piattaforme e stabiliscano regole chiare per la tutela dei diritti fondamentali nello spazio digitale.

Come suggerito dal concetto di habeas mentem, la sfida non è solo tecnica o giuridica, ma anche educativa e culturale, richiedendo lo sviluppo di una nuova consapevolezza critica nei cittadini digitali. Questa consapevolezza deve includere, come sottolinea Han, una comprensione della dialettica tra materialità e immaterialità nell’era digitale, dove il potere si esercita proprio attraverso la progressiva smaterializzazione delle relazioni sociali e delle istituzioni politiche. La battaglia tra i tecnoligarchi e le istituzioni democratiche è appena iniziata, e il suo esito determinerà non solo il futuro della governance digitale, ma la natura stessa della democrazia nell’era delle non-cose.

 

Vincenzo Candido RennaAvvocato

Conto e carta

difficile da pignorare

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link