Bruxelles – Un fronte progressista unitario, che tenga insieme socialdemocratici e ambientalisti. È la ricetta dell’ex vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans per riportare il centro-sinistra in una posizione di “rilevanza”, capace di influenzare le politiche non solo nazionali ma dell’intero continente e bloccare l’ascesa dell’estrema destra. A partire dalla difesa del Green deal, di cui lui stesso si occupava ai tempi del Berlaymont, che dev’essere la base della politica industriale comunitaria. Sul quale però gli alleati Popolari sembrano avere più di qualche ripensamento.
Un “campo largo” europeo?
Che la socialdemocrazia non se la passi bene in Europa non è certo una novità. Ma nessuno sembra avere in tasca la soluzione per invertire il trend. A parte, forse, Frans Timmermans. L’ex numero due di Ursula von der Leyen tra il 2019 e il 2023 ha suggerito stamattina (5 febbraio) durante un punto stampa all’Europarlamento di Bruxelles che “consolidare le forze progressiste di sinistra è necessario per avere più peso e più volume“, prerequisito indispensabile per “portare avanti le nostre lotte politiche” negli Stati membri e nell’intera Unione.
Il modello cui ispirarsi è quello che lui stesso sta testando nei Paesi Bassi – dove nel novembre 2023 ha guidato un’alleanza elettorale tra Socialisti e Verdi, chiamata GroenLinks–PvdA (Gl/PvdA), arrivando secondo dietro alla destra radicale populista del Partij voor de Vrijheid (Pvv) di Geert Wilders – e che ora vorrebbe far diventare un unico partito.
Ora, è evidente che non in tutti i Paesi ci sono le condizioni ideali per ottenere risultati immediati in questo senso, e lo sa pure l’ex vicepresidente. “Non c’è certamente una soluzione che vada bene in ogni Stato: in alcuni Stati i Verdi nascono dai movimenti socialdemocratici, in altri Paesi invece hanno una storia differente“, ha concesso. Basti pensare alla Francia, dove un simile tentativo di mettere insieme le variegate anime della sinistra nel Nouveau front populaire (Nfp) sembra scricchiolare pericolosamente, finita l’urgenza che l’aveva fatto nascere la scorsa estate come cartello elettorale.
O ai risultati tutt’altro che lusinghieri del famigerato “campo largo” in Italia, che ancora non è riuscito a superare le pur legittime differenze tra le sue componenti. Un’altra differenza col caso italiano, peraltro, sta nel fatto che, a differenza dell’Alleanza Verdi-Sinistra (Avs), la Gl/PvdA olandese presa a modello dall’ex commissario comprende, oltre agli ecologisti, le forze socialdemocratiche e non quelle della sinistra radicale.
Tuttavia, ha ribadito Timmermans, “se vogliamo essere forti a sinistra, dobbiamo essere più uniti“. Ma non basta: “Dobbiamo anche fare una proposta al centro che attiri altri partiti verso il centro, a formare coalizioni con noi”. “La nostra rilevanza” all’interno di una cornice democratica e parlamentare, ha osservato, “deriva anche dalle nostre proposte e dalla nostra volontà di cooperare con gli altri partiti democratici per realizzare il cambiamento“.
Insomma, è tempo di “guardare a ciò che abbiamo in comune e superare le nostre differenze” con l’obiettivo di “reinventare un’idea di base di giustizia e solidarietà nella nostra società”, ha sottolineato, citando come esempio la fondazione nel 2007 del Partito democratico (Pd) nostrano che, dopo la stagione ulivista, era nato con la promessa di riunire in un unico soggetto politico le diverse correnti del progressismo dell’epoca.
Svolta a destra
Che si riesca a compiere o meno, comunque, sembra trattarsi di una manovra che, più che proattiva, appare sostanzialmente reattiva. E a metterla in moto è lo smottamento politico in atto in tutto il Vecchio continente: “Se il centro-destra inizia a imitare la destra radicale, è la destra radicale a vincere e il centro-destra a perdere“, certifica Timmermans. A quel punto, aggiunge, “il centrodestra che perde e viene trascinato nell’ambito della destra radicale abbandona il centro, il che rende molto più difficile per altri partiti di centro-sinistra o di centro-destra formare coalizioni che possano portare i nostri Paesi e la nostra Europa nel futuro”.
Che poi è esattamente quello che si sta verificando in Germania, dove la competizione tra l’Unione cristiano-democratica (Cdu/Csu) di Friedrich Merz con l’ultradestra post-nazista di Alternative für Deutschland (AfD) guidata da Alice Weidel e Tino Chrupalla sta portando il partito che fu di Angela Merkel – la cancelliera del “wir schaffen das“, il “possiamo farcela” con cui aprì le porte ad oltre un milione di rifugiati siriani – a spostarsi su posizioni sempre più radicali in materia di sicurezza e controllo dell’immigrazione.
“Pensavo che il centro-destra tedesco avesse imparato” a non collaborare con l’estrema destra, è il commento amareggiato di Timmermans, che ha bollato come un “tragico errore” il tentativo (fallito) del probabile nuovo Bundeskanzler Merz di giocare di sponda con l’AfD, infrangendo la tradizione ottuagenaria del “cordone sanitario“.
Green deal e politica industriale
Ma Timmermans è stato soprattutto, durante il suo mandato alla Commissione europea, il responsabile del Green deal. Quel “Patto verde” che, ha ricordato, “rappresenta la nostra politica industriale“, qualunque sia il nome che nel von der Leyen bis gli vuole affibbiare. Purché, beninteso, “si mantengano le linee politiche concordate” nella legislatura precedente, senza prenderne a picconate l’impianto normativo.
Peccato che questo sia quanto stanno facendo i Popolari europei ormai da parecchi mesi, sia a Strasburgo (dove hanno già sferrato l’attacco ad alcuni provvedimenti chiave della legislazione green) sia a Bruxelles, dove con la scusa della competitività si sta avviando una fase di “semplificazione” che sa molto di “deregulation”. Lasciano pochi dubbi a riguardo, del resto, le dichiarazioni di uno dei pesi massimi del Ppe, il premier polacco Donald Tusk, secondo cui “la rivolta contro la regolamentazione è inevitabile“.
The revolt against regulation is inevitable! Whether someone in the EU likes it or not. The time is now!
— Donald Tusk (@donaldtusk) February 4, 2025
Ma Timmermans deplora questa politicizzazione: “Il Green deal non era né di sinistra né di destra, era la cosa giusta“, ha osservato, ricordando che nella scorsa legislatura il Ppe non solo lo aveva reso possibile ma “lo ha spesso rivendicato come un proprio progetto“, mentre ora “si è lasciato tentare dalla destra radicale” trasformandolo nel terreno di un’agguerrita battaglia ideologica. Al Vecchio continente, dice il politico olandese, servono “prezzi dell’energia più bassi” per tornare a essere competitiva e “ricreare una piattaforma per l’industria europea del futuro”. E la sola via per raggiungere questo obiettivo è “accelerare la transizione verso le energie rinnovabili“.
Quanto alla crisi nera del settore dell’automotive, il problema di fondo è che “l’industria automobilistica europea, in particolare le grandi case produttrici tedesche, pensava che il motore a combustione avesse un futuro infinito” e dunque ha accumulato un enorme ritardo nei confronti dei rivali globali, soprattutto in Cina, dove “le auto elettriche non solo stavano diventando prodotti di massa, ma stavano anche diventando sempre più economiche“. Dunque, ha ragionato, è anacronistico immaginare di posticipare lo stop al motore endotermico (attualmente previsto per il 2035), come chiedono le destre, poiché bisogna puntare “verso i veicoli a emissioni zero”.
I finanziamenti alle ong
Infine, l’ex commissario ha risposto ad una domanda sul caso (essenzialmente mediatico) montato dal Ppe circa presunti finanziamenti opachi alle ong ambientaliste da parte dell’esecutivo comunitario, che secondo le accuse – per ora prive di reale fondamento – sarebbero stati da lui effettuati contravvenendo alle norme che regolano le attività delle lobby a Bruxelles e mettendo a repentaglio l’indipendenza della Commissione, che avrebbe agito come un attore politico per influenzare a monte il processo legislativo.
“Ho sempre lavorato bene con il gruppo Green ten“, ha dichiarato riferendosi alla coalizione di dieci tra le maggiori organizzazioni e reti ambientali attive a livello europeo. “Venivano nel mio ufficio, esprimevano le loro opinioni, e il più delle volte mi criticavano pesantemente” perché sostenevano che l’ambizione della Commissione “non era sufficiente”. Ma “questo è il loro lavoro, è quello che fanno le ong”, ha continuato Timmermans.
Semmai, ha aggiunto, il programma Life (da cui provengono i finanziamenti comunitari alle ong) “era di competenza di un altro commissario” proveniente proprio dal Ppe, l’austriaco Johannes Hahn, che nel primo Collegio von der Leyen era responsabile del portafoglio del Bilancio. Pertanto, ha concluso Timmermans, “non ho mai avuto alcuna influenza sui finanziamenti alle ong“.
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