Generali risponde ai dubbi sull’accordo con Natixis: dalla gestione risparmio degli italiani agli equilibri della Jv, ecco cosa c’è da sapere

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Generali spiega “la ratio strategica della partnership con Natixis” e risponde a tutte le domande sull’operazione che porterebbe alla nascita di un leader mondiale dell’asset management

La creazione di una joint venture tra Generali e Natixis non porterà gli attivi italiani in mani straniere, né sarà realizzata la cessione di un asset come Generali all’estero. La sottoscrizione dei Btp e gli investimenti del Leone nell’economia reale italiana non saranno a rischio, non ci sarà alcuno squilibrio nel cda della nuova entità in favore dei francesi di Bpce e Generali potrà esercitare tutti i diritti di co-controllo sull’asset menager. Sono alcuni dei chiarimenti che il gruppo guidato da Philippe Donnet fornisce oggi “in un’ottica di chiarezza e trasparenza”, si legge sul sito, per spiegare “la ratio strategica della partnership con Natixis ed i suoi elementi chiave”, ma anche per sciogliere i dubbi del Governo e di alcuni azionisti sull’accordo annunciato lo scorso 21 gennaio con Bpce che porterebbe alla nascita di un leader mondiale nell’asset management.    

Generali e il risparmio degli italiani

“Con l’operazione Natixis 650 miliardi di attivi italiani saranno gestiti da stranieri?” È questa la prima domanda a cui Generali risponde con una secca smentita che non lascia spazio a dubbi: “L’affermazione è falsa” e in contrasto con la disciplina assicurativa, legale e regolamentare, afferma la società del Leone. “Generali e il suo cda oggi definiscono le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation dell’intero gruppo”, spiega la società, sottolineando che “l’operazione con Natixis non modificherebbe in alcun modo questo assetto che continuerebbe ad essere implementato come accade oggi. Pertanto, Generali manterrebbe in modo assolutamente identico l’attuale grado di definizione e monitoraggio degli investimenti, che non verrebbero in alcun modo trasferiti ad altri”, si legge sul sito del colosso assicurativo. 

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Nessun pericolo nemmeno per il futuro del gruppo: “la società Assicurazioni Generali non è oggetto dell’accordo, né lo sono le decisioni sugli investimenti di Generali”, viene chiarito. 

“Creare una joint venture paritetica è cosa ben diversa rispetto a cedere un’attività e perderne il controllo – continua il Leone – Piuttosto, vuol dire acquisire determinanti diritti di governance e di co-controllo su un’attività di gestione di masse triple rispetto a quelle attuali, e beneficiare di un ben maggior contributo ‘industriale’ (i.e. abilità di servire meglio i propri clienti) e finanziario (i.e. partecipare ai maggiori utili derivanti dall’attività di gestione, rispetto agli attuali)”, evidenzia ancora la società, sottolineando che, grazie all’intesa “l’Italia acquisirebbe un ruolo determinante in un’industria mondiale altrimenti destinata ad essere dominata da – escludendo l’Asia – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia”. “Questa operazione – continua Generali – creerebbe un gigante europeo, con forte matrice italiana, primo al mondo nella gestione di attivi assicurativi e nono al mondo tra gli asset manager”. 

Sottoscrizione Btp e investimenti al sicuro

La sottoscrizione di Btp e gli investimenti sull’economia reale italiana non correranno alcun rischio dalla nascita della nuova società. “Non cambieranno i criteri di gestione e di risk management, che rimarranno sotto il controllo di Generali e il presidio delle società assicurative del gruppo. Continueranno infatti ad essere Generali e le sue controllate a definire le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation dell’intero gruppo”, si legge sul sito della società. “Al contrario, a seconda dei bisogni dei clienti, potrebbe aumentare la quota degli attivi investibili nel nostro Paese, sia Btp, obbligazioni di società italiane o azioni, oppure Real Estate o Infrastrutture Esg: una piattaforma globale quale quella che si intende creare, permetterebbe infatti di offrire interessanti opportunità di investimento nel nostro Paese, a diversi investitori basati in Europa, America e Asia”, afferma Generali.

Gli equilibri della joint venture con Natixis

L’accordo con Natixis prevede la creazione di una nuova società co-controllata destinata all’attività di asset management, con una governance paritetica al 50/50, e senza alcun diritto speciale di governance riservato a nessuno dei due soci. Il ceo di Bpce, Nicolas Namias, sarà presidente, mentre il ceo di Generali, Philippe Donnet il vicepresidente. L’americano Woody Bradford, attuale ceo di Generali Investments Holding, ricoprirà il ruolo di ceo e Philippe Setbon, oggi alla guida di Natixis, sarà il suo vice. 

Ai dubbi sui possibili squilibri nel cda a favore dei francesi derivanti dall’azionariato in trasparenza (Natixis al 50%, Generali al 42%, Cathay all’8%), Generali risponde: “L’ accordo non prevede la fusione tra Generali Investments Holding e Natixis, che porterebbe il socio Cathay a detenere l’8% circa del capitale della società post-fusione. L’operazione prevede invece la costituzione di una nuova società partecipata pariteticamente e direttamente dai due soci Generali Investments Holding e Natixis, senza la partecipazione di Cathay”. 

Non solo: “L’asserito azionariato ‘in trasparenza’ non esiste, come non esiste nessun squilibrio a favore dei francesi. Nella società Generali Investments Holding, le Generali – grazie alla quota detenuta largamente maggioritaria pari all’84% – posseggono tutti i diritti di co-controllo senza alcuna riserva inerente alla governance della joint venture a favore di Cathay”, dice il gruppo.

Bnp-Axa, Unicredit-Pioneer: le differenze

Partiamo dall’operazione tutta francese tra Bnp Paribas e Axa che ha permesso di mettere in salvaguardia il risparmio nazionale francese. Rispondendo alla domanda sul perché Generali non investe in società italiane, il Leone risponde: “Generali è già uno dei maggiori asset manager italiani, ed essendo un grande gruppo internazionale, la crescita dell’Italia in questo settore non avviene attraverso la fusione tra realtà nazionali relativamente piccole, ma attraverso l’aggregazione con realtà internazionali di maggiori dimensioni”. “Nel settore dell’asset management solo la dimensione consente di rimanere competitivi, sostenere i costi necessari a sviluppare l’attività, acquisire nuovi clienti, attrarre talenti e investimenti”, continua il colosso guidato da Donnet, secondo cui “gli asset manager di piccole dimensioni sono destinati ad avere un ruolo locale o a essere acquisiti da altri. L’opportunità di creare il primo asset manager al mondo per gestione di attivi assicurativi e il nono al mondo è per l’Italia una straordinaria opportunità di leadership a livello globale difficilmente raggiungibile in altri settori. Una joint venture con un asset manager italiano di medie dimensioni porterebbe oggi pochi benefici per Generali e per i suoi stakeholder e non incrementerebbe l’influenza italiana nel mondo”.

L’operazione Generali-Natixis si differenzia da quella Unicredit-Pioneer, dato che Piazza Gae Aulenti “ha ceduto il 100% di Pioneer contro un prezzo, mentre Generali combinerebbe la propria piattaforma di asset management facente capo a Generali Investments con quella di Natixis IM, mantenendo il co-controllo”. “Va inoltre sottolineato che Unicredit non aveva rilevanti attivi (di sua proprietà) gestiti da Pioneer; quindi, non aveva il controllo (né era in condizione di porre vincoli) sugli investimenti compiuti da quest’ultima”, sottolinea Generali, che invece “ha e conserva in sua proprietà gli attivi gestiti e anche la gestione sottostà alle regole impartite dal gruppo”.

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