Aiuti di Stato a UBS, “troppo grande per fallire”

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2,6 miliardi di franchi. È quanto UBS avrebbe beneficiato di sovvenzione statale per il solo 2022, secondo uno studio condotto da tre professori dell’Università di Berna pubblicato a fine gennaio. Per i ricercatori, essendo UBS una banca “troppo grande per fallire”, beneficia di una sorta di garanzia di Stato poiché la Confederazione non la lascerebbe mai fallire, data la sua importanza sistemica nell’economia del Paese. Un’ipotesi già verificatasi in passato.

 

Questa garanzia statale spinge altri soggetti bancari a prestare soldi a UBS a condizioni di mercato vantaggiose, nella certezza che gli eventuali suoi debiti sarebbero comunque coperti dallo Stato svizzero. Cyril Monnet, uno degli autori dello studio intervistato da RTS, mette in correlazione la cifra delle sovvenzioni di 2,6 miliardi all’utile conseguito da UBS lo stesso anno, ammontante a 7,2 miliardi di franchi. «Sono gli azionisti di UBS ad avere beneficiato della garanzia statale e si tratta dunque di una sovvenzione diretta agli azionisti», afferma il professor Monnet, aggiungendo che se questi soldi fossero stati pagati al governo, quest’ultimo avrebbe potuto spenderli in beni pubblici, infrastrutture ecc. «È normale che della sovvenzione traggano profitto UBS e i suoi azionisti invece dei beni pubblici?» chiede il professore.

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È falso, ha replicato Sergio Ermotti, ceo di UBS, affermando che gli interessi che l’istituto bancario deve pagare nel mercato interbancario sono più elevati di quelli della Confederazione, aggiungendo che le agenzie di valutazione non prendono in conto un’eventuale garanzia di Stato nell’analisi dei rischi. «I rischi di UBS pesano sugli azionisti e i detentori delle sue obbligazioni, non sui contribuenti» ha concluso Ermotti.

 

Per aiutare a capire la reale posta in gioco dietro lo studio, interpelliamo Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo.

 

Professor Rossi, la cifra di 2,6 miliardi di franchi di sovvenzioni statali a UBS emersa dallo studio dei professori dell’Università di Berna pare sorprendente. Si tratta effettivamente di soldi sottratti alle risorse pubbliche o la questione in gioco posta dagli autori dello studio è un’altra?

La questione sollevata da questo studio ha varie sfaccettature: i suoi autori evidenziano che UBS ha beneficiato e continuerà a beneficiare di una garanzia statale che le consente di indebitarsi nel mercato interbancario a tassi d’interesse inferiori rispetto alle banche concorrenti. Ciò consentirà a UBS di versare maggiori dividendi agli azionisti e di avere una posizione vantaggiosa nei confronti di tutte le altre banche in Svizzera, che non beneficiano della garanzia di salvataggio pubblico. Lo studio lascia intendere che questo vantaggio competitivo di UBS spingerà questa banca a prendere ancora maggiori rischi nei mercati finanziari dell’economia globale, sapendo di poter contare sulla garanzia di dovere essere nuovamente salvata dalla Banca nazionale svizzera, che potrà fornire un volume illimitato di liquidità a UBS, oltretutto con la garanzia che se UBS non rimborserà la totalità di questo importo, sarà la Confederazione a farsi carico del mancato rimborso. Secondo gli autori dello studio, questa situazione potrebbe indurre un aumento del carico fiscale dei contribuenti in Svizzera, soprattutto per le persone fisiche molto benestanti. Sembra in realtà più plausibile che in tal caso, per compensare il suo maggior dispendio per salvare UBS, la Confederazione deciderebbe di tagliare la spesa pubblica in numerosi settori, riducendo così il servizio pubblico nei campi della socialità, della sanità, dei trasporti e dell’istruzione, rallentando perciò varie attività economiche.

 

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UBS è troppo grande per fallire. Lo si pensava già nel 2008 quando la Confederazione intervenne con 60 miliardi di franchi per evitarne il fallimento, lo si pensa ancor maggiormente adesso con l’acquisizione di Credit Suisse. A suo giudizio, quanto è concreto che il rischio di fallimento si ripeta? E lo Stato dovrebbe comportarsi come ha fatto nel 2008 o intravede delle alternative?

Sono trascorsi 15 anni tra il salvataggio di UBS nel 2008 e quello di Credit Suisse nel 2023. Temo che la prossima crisi finanziaria globale, che coinvolgerà anche UBS, scoppierà entro un orizzonte temporale più breve, magari già entro la fine di questo decennio, vista la situazione attuale della finanza di mercato nel contesto macroeconomico e geopolitico internazionale. Sergio Ermotti ha raggiunto l’età di pensionamento e il suo successore sarà probabilmente un finanziere d’assalto, che guarderà maggiormente ai mercati e alle strategie anglosassoni, cercando di massimizzare i profitti di UBS anche con operazioni altamente rischiose, certo di poter contare sulla garanzia di salvataggio pubblico della Confederazione e della Banca nazionale svizzera. Lo Stato dovrebbe in realtà agire diversamente, attuando una riforma bancaria di ordine strutturale che impedisca alle banche di prestare dei soldi creati dal nulla per svolgere delle transazioni che non generano alcun reddito nell’insieme del sistema economico, perché si tratta di operazioni a somma nulla attraverso i mercati finanziari. Invece di agire quale prestatore di ultima istanza fornendo liquidità quando una banca d’importanza sistemica è in crisi, lo Stato deve imporre alle banche un vincolo di bilancio che le costringa a limitare i prestiti interbancari alla somma dei risparmi raccolti dalla loro clientela – come Ermotti immagina che sia già oggi così, visto quanto aveva sostenuto in un dibattito con me a TeleTicino.



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