Niente Aventino ma le barricate contro le reticenze imbarazzate del governo sul caso Almasri. L’idea di nascondere la vicenda sotto il tappeto non funziona. Le opposizioni chiedono una spiegazione, invece il governo Meloni continua con la gestione raffazzonata, aggiungendo silenzio alla figuraccia internazionale.
L’esecutivo prima ha adombrato l’ipotesi di apporre il segreto di stato, ma poi ha lasciato cadere la cosa nel vuoto e anzi ha fatto trapelare l’intenzione di riferire in parlamento. Senza decidere chi debba farlo e quando metterlo in calendario. Del resto non è facile mettere la faccia sulla vicenda.
Camera ferma
I ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi potrebbero essere costretti per la competenza. Questo è quanto riferito da fonti di governo al termine di un vertice. Di sicuro Antonio Tajani si è chiamato fuori. Giorgia Meloni se ne tiene lontana, preferendo il duello con i magistrati, in particolare il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, nel frattempo destinatario di un esposto da parte dell’avvocato Luigi Mele che ipotizza i reati di omissione d’atti d’ufficio aggravata e l’oltraggio a un corpo politico.
Per l’ex sottosegretario Luigi Li Gotti, che ha presentato l’esposto da cui è nata l’indagine su Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, c’è l’ipotesi di reato di calunnia aggravata, attentato contro gli organi costituzionali e vilipendio delle istituzioni. Per questo la procura di Perugia avrebbe aperto un’indagine contro ignoti. Un balletto quantomeno singolare.
Di sicuro l’onda del rimpatrio del generale libico si è fatta sentire, eccome, alla Camera. Il Movimento 5 stelle ha avviato un’operazione di ostruzionismo durante l’esame in aula del decreto Cultura, per cui ieri è partita la discussione generale. Le barricate sono scattate non solo per la contrarietà al testo in sé, ma per la richiesta di un’informativa sul rimpatrio di Almasri. Che tocca direttamente a Meloni, secondo il presidente del Movimento 5 stelle.
«Deve venire la presidente del Consiglio. Deve spiegare perché lei donna, madre e cristiana ha imbarcato con tutti gli onori del volo di stato per sottrarre alla giustizia un boia», ha detto Giuseppe Conte. In questo caos, a palazzo Chigi sono pronti a mettere la questione di fiducia sul decreto Cultura. L’obiettivo è quello di arrivare al traguardo prima possibile, provando a decurtare i tempi del dibattito a Montecitorio, e inviare il testo al Senato.
Matteo Renzi, per commentare la strategia del governo, l’ha buttata sul sarcasmo: «Meloni e i suoi ministri saranno a Roccaraso». Dietro le ironie c’è, questa volta, una granitica intesa tra le minoranze: marciano e colpiscono compatte a dispetto del “lodo Franceschini”. «Non c’è alcun segreto istruttorio che impedisce al governo di riferire in aula», ha ricordato il deputato di Alleanza verdi sinistra Angelo Bonelli, mentre la capogruppo del Pd a Montecitorio, Chiara Braga, ha ribadito l’indisponibilità a riprendere regolarmente i lavori parlamentari.
La destra, quindi, continua a dare la sensazione di fuggire dall’imbarazzo di un caso gestito con pressappochismo. La catena degli errori sul piano governativo e tecnico ha coinvolto un po’ tutti, dalla decisione giuridica fino alla comunicazione. Uno dei capolavori al contrario è arrivato con il ragionamento di Antonio Tajani e le «quaranta pagine in inglese» da tradurre. Insomma, «non era facile», secondo la versione del vicepremier.
Già prima ci aveva pensato – durante la risposta a un’interrogazione al Senato – il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, motivando la decisione del rimpatrio del generale libico con «ragioni di sicurezza». Siccome era «soggetto pericoloso» è stato accompagnato con un volo di stato, avallato dal sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi, Alfredo Mantovano.
La regia della strategia comunicativa è tutta intestabile a un altro sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari, che è la mente dietro ogni mossa.
Consigli sbagliati
Alle spalle dei protagonisti ci sono i consiglieri. Nel caso del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, la figura più potente al suo fianco è Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto in via Arenula.
L’ex deputata berlusconiana (poi finita nel gruppo Misto), già magistrata, è considerata la vera guida del dicastero. Nulla si muove negli uffici ministeriali senza che lo abbia setacciato. Difficile immaginare che non abbia avuto un ruolo «nell’inerzia» (come è stato definito dall’Associazione nazionale magistrati) di Nordio, ossia in quel vuoto di varie ore in cui il guardasigilli non ha firmato l’arresto di Almasri.
Così come tra i consulenti più importanti alla presidenza del Consiglio c’è Alessandro Monteduro, l’emanazione tecnica del sottosegretario Mantovano.
I due hanno cementato l’intesa negli anni scorsi, quando Monteduro ha guidato la fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre, in cui Mantovano è di casa. Per questo ha voluto Monteduro prima come consigliere per le politiche sulla sicurezza e poi direttamente come capo di gabinetto dell’autorità delegata (ai servizi). Un altro consigliere che avrebbe potuto consigliare altre scelte. Ma non lo ha fatto.
In casi del genere il corpo diplomatico di stanza a palazzo Chigi viene informato. A capo dell’ufficio siede oggi Fabrizio Saggio, che ha preso il posto di Francesco Talò che si era dimesso dopo la gaffe della telefonata a Meloni dei comici russi, presentatisi come leader dell’Unione africana.
Rispetto a questa vicenda, la responsabilità dei diplomatici è forse meno mediatica, ma nel gran ballo delle responsabilità nessuno può dirsi esente. E il mix di svarioni e reticenza è destinato a continuare. Mantovano, convocato oggi al Copasir, ha chiesto – come conditio sine qua non – di non parlare del rimpatrio di Almasri.All’ordine del giorno resta quindi la vicenda svelata da Domani sui controlli fatti dall’Aisi, i servizi segreti interni, sul capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi. Tutto purché non si parli del libico.
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