Terra dei fuochi – Bonifiche a rilento, i casi di cancro e lo studio da 30 milioni di euro di cui non sa più niente

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La Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia per aver messo a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, dove oggi vivono 2,9 milioni di persone e dove gli scarichi illeciti di rifiuti pericolosi e le morti non sono un capitolo chiuso. E neppure la mancanza di informazione. Proprio qui, dove la criminalità organizzata ha gestito il traffico di rifiuti provenienti da ogni parte d’Italia, dalle concerie ai petrolchimici, fino alle industrie di alluminio, distruggendo la fertilissima Campania Felix, della quale non è rimasto più nulla. Nella vasta area della regione Campania, tra Caserta e Napoli, compromessa dagli interramenti e dalle sostanze tossiche, le bonifiche vanno a rilento e c’è chi ancora aspetta i risultati dello studio Spes, un biomonitoraggio sulla popolazione residente promosso nel giugno 2016 da Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e Istituto Pascale. Spesa: 30 milioni di euro.

“Ancora oggi i risultati non sono stati resi noti, né comunicati ai diretti interessati. Tanto che sono partite anche delle denunce” racconta a ilfattoquotidiano.it Antonio Marfella, oncologo e presidente di Medici per l’Ambiente a Napoli. Ma è solo uno dei problemi che affliggono questa terra. Basti pensare che alle campagne intorno ad Acerra, cuore della Terra dei fuochi e sito inquinato di interesse nazionale, dove dal 2009 opera anche il più grande inceneritore di Italia. Mentre i rifiuti pericolosi sono ancora un buco nero. Di ritardi parla anche il vicepresidente della Camera ed ex ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che ha seguito la vicenda della Terra dei fuochi, prima guidando le indagini e disponendo sequestri e arresti e poi come ministro dell’Ambiente.

La sentenza della Cedu e gli obblighi per lo Stato – La sentenza della Cedu segna una svolta importante, è “storica” come l’ha definita Valentina Centonze, l’avvocata che ha istruito il caso. Ma da sola questa pronuncia non può bastare. Ci si è arrivati attraverso quarantuno istanze collettive presentate nel 2015 da più di 3.500 persone e da cinque organizzazioni con sede in Campania. Molte di queste persone hanno visto morire figli, fratelli, nipoti, si sono ammalati. Nell’area interessata, infatti, insieme all’inquinamento delle falde acquifere, saliva anche il numero dei casi di cancro. I ricorrenti hanno denunciato la violazione dei loro diritti alla vita e al rispetto della vita familiare, sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani, sostenendo che lo Stato italiano non avesse preso misure per ridurre il pericolo, nonostante fosse consapevole del rischio reale e immediato. Nel 2019, la Corte europea dei diritti umani ha avviato il processo e ora, nella sua sentenza definitiva, condanna l’Italia che, pur riconoscendo la grave situazione, non ha preso le dovute misure. La Cedu ha stabilito che il governo dovrà introdurre, senza indugio, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento della Terra dei Fuochi. Significa che l’Italia ha due anni di tempo per sviluppare una strategia correttiva, mettere in piedi un sistema di monitoraggio che sia indipendente e una piattaforma di informazione pubblica.

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Il diritto a essere informati – Già, perché i ricorrenti hanno denunciato non solo la violazione degli articoli 2 (Diritto alla vita) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma anche dell’articolo 10, che sancisce il diritto a essere correttamente informati, segnalando che le autorità italiane, a conoscenza dello scarico, dell’interramento e dell’incenerimento di rifiuti pericolosi sul loro territorio, in modo illegale, non avevano fornito loro alcuna informazione al riguardo. E la Cedu dà loro ragione: “Lo Stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni”. Di più: “Data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione – scrive la Cedu – era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Questo non è stato fatto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di Stato”. Una mancanza di informazione che fu di allora e c’è ancora oggi, anche se sotto altre forme. “Mancano ancora i dati di uno studio che riguarda, tra gli altri, anche i cittadini di Acerra, che pure si sono rivolti alla Procura” commenta Marfella. Sono 4.200 i cittadini che hanno fatto volontariamente i prelievi nel 2017.

Cosa resta della Terra dei fuochi – Quanto accaduto in passato non solo continua a produrre i suoi effetti devastanti, ma resta da sfondo a un presente ancora oggi preoccupante, come denunciano le associazioni ambientaliste. Le campagne intorno Acerra sono uno dei Sin (siti di interesse nazionale, ndr) più vasti e densamente popolati d’Italia, con 80 comuni coinvolti e 1,8 milioni di persone che vivono nell’area. Qui le bonifiche sono solo agli inizi, mentre i roghi continuano (e i cittadini continuano ad ammalarsi). E dal 2009 è entrato in funzione il più grande inceneritore di Italia. “Abbiamo ad Acerra un impianto per i rifiuti urbani che incenerisce 111 chili pro capite all’anno di rifiuti, quanto incenerisce la Lombardia in 13 impianti e altrettanti territori” spiega Marfella, segnalando però le carenze su un altro fronte.

“Ora dobbiamo concentrarci sulla tracciabilità dei rifiuti speciali e industriali. Grazie alle leggi penali del 2015 e all’impegno di cittadini e associazioni – aggiunge – attualmente non arrivano più i rifiuti tossici delle concerie della Toscana, ma i problemi della Terra dei fuochi, che pure ci sono, arrivano tutti dalla Campania”. Sergio Costa parla di “un dramma continuo che viene vissuto da decenni da migliaia di cittadini”. Da ministro creò una direzione generale per le bonifiche, aumentando la spesa. “Abbiamo istituito con una legge il Sin dell’Area vasta di Giugliano proprio per convogliare i fondi per le bonifiche nella Terra dei Fuochi. Ma dal 2020 aspettiamo la perimetrazione dell’area – racconta Costa – un tempo infinito per un territorio martoriato, con decine di migliaia di cittadini ingiuriati da malattie oncologiche e non solo. Che fine ha fatto quella perimetrazione?”. I governi Draghi e Meloni hanno cancellato la direzione generale, azzerando i fondi.

Le responsabilità della politica – Per Legambiente, la sentenza della Cedu richiama alla responsabilità un’intera classe politica bipartisan “che per anni ha sottovalutato, nascosto quello che accadeva in quel territorio”. Legambiente ha coniato il termine Ecomafia per il suo rapporto, raccogliendo le denunce che arrivavano dai circoli presenti sul territorio. “Si sono succeduti 12 governi nazionali e 5 a livello regionale senza trovare un ‘vaccino’ efficace. Chiediamo che in quei territori venga da subito attuata la sentenza” commentano Stefano Ciafani e Mariateresa Imparato rispettivamente presidente nazionale e regionale di Legambiente. Per l’associazione non può esserci dubbio sulla strada da seguire: “Deve essere fatta davvero ecogiustizia, a partire da una accelerazione seria, efficiente ed efficace della bonifica e con la chiusura del ciclo dei rifiuti. Lo dobbiamo ai tanti onesti cittadini campani che vogliono riscattare il proprio territorio e affermare i principi di legalità e trasparenza”.



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