Anche le aziende pubbliche vanno in bancarotta (e gli amministratori ne rispondono)

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Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22409

Contabilità

Buste paga

 

Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406

Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26823

Cass. pen., sez. V, 9 giugno 2023, n. 25039

Cass., sez. V, 18 maggio 2022, n. 19540

Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2021, n. 7437

Cons. St., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 182

Difformi:

Non si rinvengono precedenti

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Procedura celere

 

La giurisprudenza ribadisce che anche gli amministratori ed i dirigenti delle società a partecipazione pubblica possono rispondere, in caso di insolvenza della persona giuridica da loro gestita, per i delitti di cui agli artt. 322 ss. d.lgs. n. 14 del 2019 (in precedenza artt. 216 ss. R.D. n. 267 del 1942) posto che i soggetti menzionati svolgono la loro attività all’interno di enti aventi senz’altro natura privatistica, in quanto tali soggetti alle diverse procedure di esecuzione concorsuale con conseguente applicazione nei confronti degli organi gestori delle disposizioni penali sopra indicate.

Il fatto

A seguito della dichiarazione di fallimento di una società partecipata interamente da capitale pubblico, ai vertici della stessa – in particolare ai componenti del Consiglio di gestione ed Comitato di sorveglianza, nonché ad un soggetto qualificato come amministratore di fatto della società ed al direttore amministrativo e commerciale – erano mosse numerose imputazioni, ex artt. 223, commi 1 e 2 n. 1, in relazione all’art. 2621 e.e., e 2, e in relazione all’art. 216,219, comma 1 e 2, n. 1, R.D. 267/42.

La società in parola, dopo una prima fase di attività intesa a consentire l’adesione – in qualità di soci – di tutti i comuni della Provincia onde divenire soggetto affidatario in house del servizio idrico integrato, stipulava una convenzione con la cd. Autorità D’Ambito Territoriale Ottimale a seguito della quale diveniva il gestore dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione all’utenza delle acque, nonché di fognatura e di depurazione delle acque reflue, necessari alla popolazione residente nella provincia di riferimento. Fin dall’inizio della sua attività operativa, l’ente in questione presentava una struttura patrimoniale connotata da una forte sottocapitalizzazione: sebbene la persona giuridica si fosse dotata di un Piano industriale che prevedeva una progressiva capitalizzazione dell’ente sino ad un valore pari a € 11.624.000, i Comuni-soci non avevano mai sottoscritto, se non in minima parte, l’aumento del capitale sociale, lasciando così la società priva di un patrimonio adeguato per lo svolgimento del servizio. Una tale criticità era aggravata dalla inconsistenza dei dati fomiti dai comuni circa le utenze che avrebbero dovuto ricevere il servizio idrico, con conseguente incertezza sulla possibilità di ottenere la remunerazione del servizio prestato, nonché dalla mancanza di autonomia finanziaria, il che, a causa della carenza di liquidità, aveva indotto la società a stipulare ben due accordi di finanziamento, del valore di 2,5 milioni di euro ciascuno, con un istituto di credito a condizioni particolarmente gravose.

In conseguenza di tali criticità derivava – anche in ragione dei debiti accumulati nei confronti del principale fornitore di acqua e delle perdite di rete unitamente al fenomeno dell’abusivismo – che i risultati d’esercizio erano sempre negativi, senza però che tale circostanza emergesse dai bilanci di esercizio che, invece, rappresentavano sempre una situazione di sostanziale equilibrio tra costi e ricavi: la prima ed unica perdita, di poche migliaia di euro (- 58.000 €), infatti, si registrava solo nell’esercizio 2012 (approvato nell’anno 2013), quando, tuttavia, la situazione economica e finanziaria della società era già strutturalmente ed endemicamente in perdita, con pignoramento dei conti correnti intrapreso dai creditori, tanto che poi la procedura fallimentare faceva registrare un passivo di circa €. 49.000.000,00, composto, principalmente, dal debito nei confronti dei fornitori, da debiti verso il sistema bancario nonché da ulteriori consistenti debiti verso l’Erario.

La decisione

Il processo di merito si è concluso con una sostanziale conferma delle ipotesi accusatorie.

I giudici di primo grado – dopo aver ribadito la fallibilità delle società in house o a partecipazione pubblica (Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22409; Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406; Cons. St., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 182) – in primo luogo ritengono che sia consentito al Giudice penale sindacare, in ottica di possibile contestazione del delitto di bancarotta, le operazioni imprenditoriali intraprese dai vertici della società, valutando se le stesse abbiano o meno significativamente aggravato il dissesto dell’impresa poi fallita.

In particolare, nel caso di specie, la Procura aveva ritenuto di dover qualificare come operazione dolosa causativa del dissesto societario, penalmente rilevante ai sensi dell’allora art. 223, comma 2 n. 2, R.D. n. 267 del 1942 – oggi art. 329, comma 2 lett. b) d.lgs. n. 14 del 2019 – la scelta dell’organo gestorio di acquisire negli anni 2008 e 2009 il Servizio idrico integrato facenti capo a diversi Comuni della zona con versamento, a titolo di corrispettivo, di circa €. 2.000.000,00, il tutto pur in presenza di evidenti segnali di allarme che evidenziavano la natura intrinsecamente pericolosa dell’operazione. A tale conclusione l’ufficio inquirente giungeva sulla base della considerazione che se da un lato si poteva giustificare la scelta di procedere alla suddetta acquisizione del servizio idrico onde patrimonializzare la società e sperare nella percezione di futuri ricavi derivanti dal pagamento delle tariffe per il servizio reso agli utenti, dall’altro i vertici aziendali avrebbero dovuto essere consapevoli che tale investimento avrebbe comportato inevitabilmente un aumento dei costi di cui si poteva garantire la copertura dal punto di vista economico-finanziario solo se la società fosse stata certa che ne sarebbero derivati significativi ricavi. Di contro, alcune significative circostanze, note agli imputati, evidenziavano come fosse molto improbabile che l’investimento avrebbe consentito il maturare degli utili necessario per ripagarlo, posto che a) la società non era sufficientemente capitalizzata – l’ente, a fronte di un capitale sociale deliberato pari ad 1,2 milioni di euro nel 2008 e ad 1,4 milioni di euro nel 2009, vantava, al momento dell’acquisto un capitale sottoscritto e versato pari a soli 160.000 euro, b) l’impresa versava in crisi finanziaria, tant’è che, non potendo contare sulla sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale da parte dei comuni-soci e nemmeno sulla riscossione dei crediti derivanti dal servizio di depurazione, l’ente era costretto a stipulare due contratti di finanziamento con un istituto bancario pari a 5 milioni di euro a condizioni particolarmente onerose, c) era nota l’insussistenza di dati per la fatturazione, con sostanziale incertezza circa la possibilità della società di autofinanziarsi mediante il conseguimento di congrui ricavi (riscossione della tariffa per la somministrazione dell’acqua), posto che i comuni-soci non erano in grado di fornire il dato delle utenze idriche dei cittadini, con conseguente impossibilità di calcolare i ricavi. Queste tre circostanze erano tutte evocative, secondo l’impostazione d’accusa, della natura intrinsecamente pericolosa dell’acquisto del servizio idrico integrato e dunque profilanti la consapevolezza e la volontà dell’operazione, ovverosia l’acquisto, con prevedibilità del dissesto.

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Il tribunale ha concordato parzialmente con tali considerazioni. Se, infatti, è condivisa la valutazione negativa della scelta di procedere all’acquisto del servizio idrico integrato con versamento di una significativa somma a vantaggio dei comuni venditori, l’organo giudicante esclude di poter sussumere la vicenda sotto la fattispecie di bancarotta da dissesto per la carenza del necessario elemento soggettivo, ritenendo essersi in presenza di una fattispecie di bancarotta semplice. Infatti, secondo il tribunale, da un lato, le predette acquisizioni erano state poste in essere nella fase iniziale della società, c.d. di start up, e l’oggetto sociale della stessa era proprio la gestione del servizio idrico integrato necessario alla popolazione residente nella provincia per cui non si è ritenuto possibile “profilare in capo ai membri dell’organo gestorio la prevedibilità del fallimento della [società] fin dal suo nascere”; dall’altro, si sottolinea come le predette operazioni siano state poste in essere, quantomeno nella sua fase iniziale, “nell’interesse della società, concretando una scelta sì azzardata ed irragionevole, ma non già manifestamente abnorme ed incoerente rispetto alla tutela del ceto creditorio”. Sulla scorta di queste considerazioni, viene ravvisata, “proprio in ragione della fase iniziale della società (anno 2008) e del perseguimento dell’oggetto sociale attinente proprio alla gestione del servizio idrico integrato, una grave imprudenza da parte del Consiglio di gestione, atta ad integrare non già una fattispecie di bancarotta fraudolenta bensì un’ipotesi di bancarotta semplice”.

La pronuncia in commento aderisce a quella impostazione – ormai consolidata in giurisprudenza – secondo cui possono qualificarsi come bancarotta fraudolenta patrimoniale anche operazioni in linea con l’oggetto sociale quando “appaiono … talmente incoerenti dal punto di vista economico-aziendale da porsi al di fuori di obiettivi e principi economici aziendali perseguibili, concretando di fatto operazioni prive di ragioni economiche congrue, pericolose e dissennate attività di sperpero di risorse aziendali, dunque mere distruzioni di risorse” (Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2021, n. 7437; Cass. pen., sez. V, 9 giugno 2023, n. 25039; Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2021, n. 7437). Tuttavia,

in ragione del fatto che le operazioni negoziali sopra menzionate erano state “poste in essere nella fase iniziale della società, c.d. di start up, e che l’oggetto sociale della stessa era proprio la gestione servizio idrico integrato, necessario alla popolazione residente … pare arduo, quantomeno sotto il profilo soggettivo, profilare in capo ai membri dell’organo gestorio la prevedibilità del fallimento della società fin dal suo nascere. Ciò anche ove si consideri che tali operazioni sono state verosimilmente poste in essere, quantomeno nella sua fase iniziale, nell’interesse della società, concretando una scelta sì azzardata ed irragionevole, ma non già manifestamente abnorme ed incoerente rispetto alla tutela del ceto creditorio”.

Un secondo profilo di interesse è rappresentato dalla individuazione delle responsabilità penali gravanti in capo ai componenti dei cd. Consigli di Gestione e Comitati di Sorveglianza, organi previsti nel modello dualistico (c.d. modello alla tedesca), nel cui ambito la governance della s.p.a. è per l’appunto affidata a tali soggetti.

Non pone particolari problemi la definizione delle responsabilità penali dei componenti del Consiglio di gestione. A costoro, infatti, si applicano, in quanto compatibili, la totalità delle norme stabilite per il modello tradizionale del consiglio di amministrazione con le dovute conseguenze in tema di colpevolezza per i reati in tema di gestione dell’impresa, giusto anche quanto prevede il comma 1^ dell’art. 2639 cod. civ., secondo cui “le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni alla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi”.

Più complessa la definizione della sorte di quanti fanno parte del Consiglio di Sorveglianza.

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Secondo la decisione in commento, occorre rifuggire dall’errore di equiparare il ruolo ed i poteri dei componenti del Consiglio di Sorveglianza con il collegio sindacale. La differenza più rilevante, ai nostri fini, sarebbe rappresentata dalla circostanza che i componenti del Consiglio di Sorveglianza sono, a differenza del collegio sindacale, titolari di poteri con valenza impeditiva rispetto all’adozione da parte di terzi soggetti di condotte criminose ai danni della società ove gli stessi operano: i componenti del Consiglio di Sorveglianza, infatti, possono ad esempio rifiutare l’approvazione del bilancio – mentre il collegio sindacale può solo evidenziare eventuali criticità all’Assemblea dei soci – o hanno la possibilità di procedere di procedere immediatamente alla revoca dei componenti del Consiglio di Gestione, così da porre immediatamente un freno alla patologia rilevata e quindi essi possono concretamente impedire che le altrui condotte criminose siano portate a compimento o comunque conducano alla causazione di un danno maggiormente significativo per i creditori sociali e per l’impresa. In sostanza, seguendo il ragionamento della pronuncia in esame, alla luce della particolare posizione del Consiglio di Sorveglianza – che, se da un lato può essere certo considerato organo con funzioni analoghe a quelle attribuite al ruolo del collegio sindacale, ma dall’altro assume in sé anche i compiti dell’Assemblea dei soci -, per quanti svolgono tale funzione non avrebbero motivo di formularsi le osservazioni a volte avanzate dalla Cassazione con riferimento alla dichiarazione di responsabilità penale di quanti rivestono la funzione di sindaco, laddove si afferma che occorre verificare il nesso di causalità tra le omissioni imputate a costoro ed i reati commessi da terzi soggetti, indicando altresì in che termini e con quali condotte i sindaci avrebbero potuto impedire l’altrui comportamento criminoso (Cass. Pen., sez. V, 18 maggio 2022, n. 19540).

Queste considerazioni varrebbero, secondo il tribunale, anche con riferimento al controllo sui dati contabili, pur se il Consiglio di Sorveglianza è privo del controllo contabile (attribuito ex lege al revisore contabile esterno). Infatti, come si legge nella decisione, “se è vero che l’art. 2409 quaterdecies cod. civ. limita i poteri conoscitivi dell’organo di sorveglianza a causa del richiamo solo parziale dell’art. 2403 bis cod. civ., tuttavia è proprio la commistione di poteri amministrativi e di controllo conferiti con consiglio di sorveglianza dall’art. 2409 terdecies a decretare la centralità di tale organo in tema di verifica della correttezza della gestione e della legalità ed attendibilità del bilancio, che tale organo ha il compito di approvare, ovvero, in caso di esito negativo dei controlli, respingere”.

Di conseguenza, la decisione in esame riconosce una piena responsabilità dei componenti del Consiglio di Sorveglianza per i fatti contestati, dovendo tali soggetti intervenire in presenza delle irregolarità contabili contestate, censurando altresì le scelte del Consiglio di Gestione.

Esito del ricorso:

Decisione di condanna per bancarotta semplice

Riferimenti normativi:

Art. 329, comma 1, Decreto legislativo, n. 14/2019

Art. 322, comma 1 lett. a) e b), Decreto legislativo, n. 14/2019

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