Redditi transnazionali degli sportivi tra normativa interna e convenzionale

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La tassazione dei redditi transnazionali degli sportivi rappresenta un argomento di notevole rilevanza, in particolare nel contesto della globalizzazione e della mobilità internazionale degli atleti. Gli sportivi, infatti, possono generare redditi in diversi paesi, sia attraverso le loro prestazioni sportive che tramite sponsorizzazioni, diritti di immagine e altre fonti di guadagno.

La tassazione dei redditi transnazionali degli sportivi rappresenta, dunque, un tema complesso, caratterizzato da differenti normative fiscali applicabili in funzione delle giurisdizioni coinvolte. Gli sportivi che operano a livello internazionale siano essi calciatori, tennisti o atleti di altre discipline, si trovano frequentemente a dover affrontare la questione della tassazione dei loro guadagni provenienti da più Stati.

Occorre innanzitutto ricordare che il sistema fiscale più utilizzato in tutto il mondo è quello noto come tassazione worldwide, basato sulla residenza ed applicato dalla maggioranza degli Stati europei e mondiali. Tale sistema stabilisce che tutti i residenti in un dato Paese devono pagare le tasse su tutte le fonti di reddito, sia quelle che hanno origine nel territorio dello Stato che quelle originate fuori dal territorio dello Stato. Tale sistema è stato adottato anche dal nostro Paese ed, infatti, l’articolo 3, Tuir, stabilisce che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti …”.

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Ciò significa che lo sportivo residente fiscalmente in Italia, che percepisca redditi all’estero per la sua attività, dovrà dichiararli nel nostro Paese e qui assoggettarli a tassazione.

Non bisogna però dimenticare che lo sportivo, di cui al nostro esempio, ha, parallelamente, anche l’obbligo di dichiarare i citati redditi esteri nei Paesi nei quali sono stati prodotti.

In tale ipotesi, occorrerà, pertanto, evitare che egli sia assoggettato, per lo stesso reddito, ad una doppia imposizione (una volta all’estero e una volta in Italia).

Per evitare tale problematica molti Stati hanno stipulato delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, le quali stabiliscono le regole di ripartizione del potere impositivo e, in caso di potestà concorrente, lo risolvono attraverso l’attribuzione del credito d’imposta o con lo strumento dell’esenzione.

Nella maggior parte dei casi il potere impositivo viene attribuito al Paese di residenza (è il caso, ad esempio, dei redditi di lavoro dipendente e di quelli di lavoro autonomo, prodotti all’estero).

Una rilevante eccezione riguarda la tassazione dei redditi degli sportivi che è disciplinata, insieme a quella degli artisti, dall’articolo 17 del Modello OCSE e cioè il modello solitamente utilizzato per la redazione delle citate Convenzioni contro le doppie imposizioni.

In tale articolo viene, infatti, stabilito che i redditi che un residente di uno Stato contraente ricava dalle sue prestazioni personali esercitate nell’altro Stato contraente in qualità di sportivo, sono imponibili in detto altro Stato.

Il diverso trattamento si giustifica con l’esigenza di assoggettare a tassazione, nello Stato in cui si manifestano, prestazioni artistiche o sportive che per la loro intrinseca natura permettono di conseguire notevoli redditi in un arco temporale molto ristretto (Cassazione n. 21865/2018).

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Qui giunti occorre, però, distinguere tra due ipotesi: quella in cui il compenso sia ricevuto a fronte della partecipazione al singolo evento sportivo e quella in cui il compenso sia ricevuto a fronte di tutte le prestazioni effettuate in un determinato periodo. Nella prima ipotesi, l’importo percepito sarà anche quello da assoggettare ad imposizione nel Paese in cui si è svolto l’evento sportivo.

Più complessa è la seconda ipotesi, posto che occorrerà probabilmente riallocare i singoli redditi suddividendoli tra le varie manifestazioni sportive, e corrispondentemente ai singoli Paesi in cui si sono svolte.

In sostanza, il reddito imponibile all’estero dovrebbe essere determinato pro quota, dividendo l’ammontare totale dei redditi percepiti per il numero delle manifestazioni sportive. Il risultato dovrà essere moltiplicato per quelle disputate in ogni singolo Paese.

Questa è la soluzione indicata anche dall’Amministrazione finanziaria, con la risposta ad interpello n. 79/2006, nella quale ha precisato che occorre “ripartire il compenso contrattuale in relazione al rapporto tra le giornate di gara (tappe ciclistiche) svolte in Italia e svolte all’estero”.



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