Mps-Generali, il via libera del governo

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ROMA. Per avere conferma di come la pensino a Palazzo Chigi sull’offerta a sorpresa del Monte dei Paschi su Mediobanca basta sfogliare le dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza. Antonio Tajani, Forza Italia: «Ben vengano le operazioni di libero mercato». Alberto Bagnai, già pasdaran no euro e fedelissimo di Matteo Salvini: «Abbiamo gestito bene questa partita. Mps era prostrata dai danni della gestione Pd». E ancora, Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera e astro nascente di Fratelli d’Italia: «Un’operazione che può consolidare il sistema». Poi ci sono le indiscrezioni sulle quali è impossibile avere conferme: un contatto telefonico giovedì fra il numero uno di Mps Luigi Lovaglio e Giorgia Meloni, un incontro a quattr’occhi della stessa premier con Francesco Gaetano Caltagirone, suo grande alleato e regista dell’operazione. Che la scalata di Mediobanca fosse da tempo fra i progetti di Lovaglio è agli atti: lo ipotizzò più di due anni fa al ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti.

Cosa è successo nel frattempo? E perché il governo Meloni oggi sostiene l’operazione? Due almeno le risposte. La prima, quella più squisitamente politica: la premier e i suoi alleati non avrebbero voluto vendere le quote della banca senese, l’unica ancora partecipata dallo Stato, ma gli impegni presi con l’Unione europea e i vincoli di finanza pubblica lo hanno impedito. E così, mentre con una mano lo Stato cedeva quote – oggi gli resta l’11 per cento – con l’altra cercava imprenditori alleati con cui riconquistare l’istituto per decenni simbolo della finanza rossa. Seconda risposta: Caltagirone e il suo alleato nella battaglia per il controllo delle Generali – la Delfin della famiglia Del Vecchio – non sono in grado di realizzare in tempi rapidi il ribaltone ai vertici del gigante assicurativo, uno dei principali acquirenti di debito pubblico italiano. La recente operazione di Generali con il gigante del risparmio francese Natixis è vista poi da Palazzo Chigi e da Fratelli d’Italia come un dito negli occhi agli interessi nazionali. E così, senza pensarci due volte, Meloni ha dato l’assenso alla contromossa, decisa in pochi giorni e senza il coinvolgimento di Giorgetti.

La cronaca della giornata di ieri ci racconta che il successo dell’operazione è difficile da prevedere. In poche ore sul mercato sono passati di mano importanti pacchetti di azioni di quello che una volta era il “salotto buono” della finanza italiana. Racconta un banchiere che chiede di non essere citato: «Gli amici di Nagel (numero uno di Mediobanca, ndr) sono scesi in campo contro il governo». L’offerta che all’alba valeva un premio del cinque per cento della banca milanese, è diventata a sconto di oltre il nove. Le quote di Caltagirone e Delfin valgono il 25 per cento di Mediobanca. Per raccogliere un altro 25 per cento e vincere la partita, due le strade: o l’adesione del Tesoro all’offerta di Caltagirone e Delfin, oppure il sostegno del mercato. Racconta un secondo banchiere con buoni uffici a Palazzo Chigi: «Nella prima ipotesi Palazzo Chigi e Tesoro dovrebbero presentarsi di fronte alla Commissione europea per chiedere l’autorizzazione ad un’operazione che smentirebbe quanto fatto in ossequio al piano di privatizzazioni. Difficile per ora immaginare anche il sostegno dei soci stabili minori di Mediobanca, fra cui Unipol, la famiglia Monge, Ennio Doris. Tutti investitori che guardano al vantaggio finanziario dell’operazione». Dunque, cui prodest?

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La risposta è in quella che a Palazzo Chigi e al Tesoro sta diventando quasi una fissazione: sostenere la nascita di un terzo polo del credito, alternativo a Intesa Sanpaolo e Unicredit, ormai lontane dalle sirene della politica e in un caso – la banca guidata da Andrea Orcel – mossa da ambizioni paneuropee. Il sostegno a Mps-Mediobanca scrive la parola fine all’ipotesi che nelle intenzioni di Giorgetti e della Lega avrebbe dovuto mandare a nozze la stessa Mps con la milanese Banco Bpm. L’hanno affossata i dubbi del numero uno Giuseppe Castagna e l’offerta di acquisto da parte di Unicredit. La conseguenza (forse) inintenzionale del sostegno governativo all’operazione Mps-Mediobanca è un regalo a Orcel, che ora ha la strada spianata per la conquista della piccola rivale milanese.

Per capire quale sarà il nuovo assetto della finanza italiana dopo tutto ciò, occorrerà attendere almeno maggio e le assemblee dei soci di Unicredit, Generali e Banco Bpm: allora si inizierà a capire se il cambio di strategia del governo a sostegno del terzo polo tricolore avrà avuto successo. Una cosa è certa: per vedere scalfito il potere inamovibile di Mediobanca e avere solidi alleati alla guida delle Generali occorrerà ancora tempo, e forse questa è l’unica vera ragione che spinge Palazzo Chigi ad una nuova stagione da merchant bank dove non si parla inglese (cit. Massimo D’Alema).



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