Il mondo delle imprese sta cambiando. Dirlo così può apparire una constatazione banale. Quanto sta accadendo dentro Sintetica, industria farmaceutica storica per il Mendrisiotto, sembra però aprire la porta ad altri scenari. Acquisita nel 2019 dal gruppo francese Ardian tramite un pool di banche, l’azienda, ipotizza il deputato Ps Maurizio Canetta in una interrogazione sul tavolo del Consiglio di Stato, potrebbe essere al centro di un’operazione di ‘leveraged buy out’, una modalità controversa. Cosa comporta e che peso potrebbe avere sull’economia ticinese? Lo abbiamo chiesto a Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo.
In Svizzera ci sono pochi dati ufficiali sui fondi di ‘leveraged buy out’ (lbo), come confermato nel 2018 dal Consiglio federale in risposta all’interrogazione della consigliera nazionale zurighese Jacqueline Badran. Stando ai dati di MergerMarket (citati da Berna) negli ultimi 20 anni nell’economia elvetica si sono registrate, in media, dalle 10 alle 15 operazioni di lbo all’anno. Il governo federale dichiara altresì di non aver “motivo di ritenere che questo tipo di operazioni finanziarie si svolga al di fuori del quadro legale” e di non prevedere, quindi, misure per bloccare queste transazioni nel quadro della revisione del diritto sulle società anonime. Resta il fatto che tanto a livello statunitense, dove questo strumento è nato, quanto a livello europeo nel passato recente ci si è interrogati e confrontati su questa nuova frontiera finanziaria, che ha preso piede negli ultimi anni, soprattutto per l’elevato rischio che comporta. Di fatto non è una economia ‘sulla carta’ che si frappone all’economia reale? Di conseguenza, non si pone anche un problema etico nell’utilizzo di questi strumenti finanziari?
Indubbiamente si tratta di una profonda frattura tra l’economia reale, che è chiamata a soddisfare i bisogni dell’insieme dei portatori d’interesse nel sistema economico – vale a dire le persone e le imprese di ogni tipo –, e la finanza di mercato, che nell’arco degli ultimi trent’anni si è sempre più concentrata sulla massimizzazione dei profitti di breve termine delle maggiori istituzioni finanziarie (ossia le banche di importanza sistemica, i fondi speculativi e i gestori patrimoniali), dettando le proprie scelte anche alle imprese dell’economia reale.
Si è così passati da un capitalismo industriale, nel quale le aziende ottenevano delle linee di credito dal settore bancario per produrre dei beni e dei servizi nell’interesse generale del sistema economico, a un capitalismo finanziario, dove sono gli interessi dei grandi attori nei mercati finanziari a influenzare in modo considerevole le strategie aziendali, affinché il valore azionario delle imprese aumenti senza soluzione di continuità, operando anche delle ristrutturazioni aziendali che riducono sempre più la forza-lavoro, ormai considerata come una merce ‘usa e getta’ quando non serve più alla massimizzazione del profitto.
Le operazioni di ‘leveraged buy out’ sono eticamente un problema nella misura in cui sono attuate ponendo sulle spalle dell’azienda acquisita il peso del debito che viene accumulato per acquisirla da parte di una società ‘veicolo’, la cui garanzia di rimborso è costituita dai beni dell’azienda acquisita. Per fare un esempio banale, è un po’ come se per acquistare la villa del mio vicino di casa io creo un’azienda che ottiene da un istituto bancario un credito ipotecario garantito da questa stessa villa: il rischio di insolvenza, come pure almeno una parte notevole degli interessi ipotecari, sono a carico del mio vicino di casa.
Oggi sussiste il rischio che questa forma di capitalismo finanziario sovrasti l’economia reale basata su processi industriali di investimento e sulla produzione? Quali sarebbero le ricadute, soprattutto sul capitale umano?
Questo rischio esiste e diventa sempre più evidente, anche se né le autorità politiche né i regolatori della finanza di mercato agiscono per garantire che questa traiettoria verso il basso del sistema economico sia interrotta, onde evitare lo scoppio di crisi finanziarie di portata sistemica, che sono sempre più frequenti e drammatiche per numerose persone, oltre che per molte piccole e medie imprese ormai confrontate con la concorrenza delle grandi imprese multinazionali nell’insieme dell’economia globale. Le strategie che tali imprese mettono in atto sono dettate dagli obiettivi di breve termine delle banche e dei fondi speculativi, che orientano i flussi d’investimento verso attività molto redditizie a breve termine nei mercati finanziari a discapito degli investimenti produttivi nel campo dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Le sfide poste dalla digitalizzazione delle attività economiche sono numerose e accelerano la sostituzione del capitale umano con la cosiddetta ‘intelligenza artificiale’, che tendenzialmente comporta un notevole calo dell’occupazione, a discapito della coesione sociale e della crescita economica. E questo nella misura in cui la diminuzione del potere d’acquisto delle persone che sono licenziate, essendo sostituite da macchinari ‘intelligenti’, induce un calo delle vendite dei beni e servizi di molte imprese. In questo modo si crea un circolo vizioso che trascina tutta l’economia verso il basso, visto che le lavoratrici e i lavoratori spendono nel mercato dei prodotti ciò che guadagnano nel mercato del lavoro, mentre l’insieme delle imprese ricevono nel mercato dei beni e servizi quanto spendono nel mercato del lavoro. Se si riduce la forza-lavoro e aumenta il tasso di disoccupazione, diminuirà il dispendio nel mercato dei prodotti e le imprese dovranno ridurre ulteriormente la loro forza-lavoro. Questa dinamica autodistruttiva si accompagna all’aumento della circolazione del denaro nei mercati finanziari, dove le imprese cercano di ottenere dei rendimenti per compensare il calo delle loro vendite nel mercato dei prodotti. Le operazioni di lbo si stanno diffondendo a macchia d’olio proprio perché permettono di aumentare i profitti delle aziende che le effettuano, a discapito della forza-lavoro che viene licenziata senza alcuna esitazione quando ciò consente ai dirigenti aziendali di aumentare i profitti e, da qui, anche i loro compensi stravaganti, sotto forma di bonus, ‘stock options’ e molti altri stratagemmi della finanza di mercato, ormai priva di qualsiasi impronta etica che rispetti il bene comune.
L’utilizzo di questi fondi nella realtà svizzera e ticinese quale impatto potrebbe avere sulle aziende oggetto di acquisizione – e che dunque si trovano caricato sulle spalle il peso dell’operazione – e sul tessuto economico e sociale di regioni e Comuni interessati?
L’impatto delle operazioni di lbo può essere devastante, in quanto queste operazioni si svolgono con l’intento di ‘spacchettare’ l’azienda acquistata, vendendone alcuni rami o smantellandone una parte per conservarne solo le attività più redditizie per l’acquirente. Il tessuto economico e sociale delle regioni dove si svolgono queste operazioni diventa sempre più fragile e vulnerabile, aumentando l’incertezza sia delle persone che lavorano sia delle piccole e medie imprese che devono evitare il fallimento, mettendo in atto delle scelte strategiche che imitano le strategie aziendali dettate dalla finanza di mercato. Pure la collettività subisce un danno nel suo insieme, perché l’utilizzo di questi fondi porta a una riduzione dell’occupazione, dunque un rallentamento economico che riduce anche le risorse fiscali dello Stato, chiamato a spendere maggiormente per le politiche sociali; con il risultato di gravare sui conti pubblici, rendendo perciò necessario procedere con dei tagli alla spesa pubblica secondo il dogma neoliberista che vuole ridurre i disavanzi dello Stato fino all’equilibrio del proprio conto economico per non ‘gravare sulle spalle delle prossime generazioni fiscali’. Dimenticando che lo Stato non è un antagonista ma un partner importante per l’economia privata, come è stato evidente durante il Covid e i periodi di fragilità finanziaria delle banche di importanza sistemica a livello nazionale o addirittura a livello globale.
Nell’atto parlamentare firmato da Canetta su quanto sta accadendo a Sintetica si ipotizza, come detto, che nella compravendita della società si sia fatto capo a un tale strumento finanziario, che viene definito “altamente aggressivo e rischioso”. Strumento che, di fatto, una volta avvenuta l’acquisizione carica, appunto, sulle spalle dell’azienda il debito nei confronti della banca. Come se si trattasse di una autoacquisizione, con tanto di interessi da pagare e prestito da rimborsare.
L’atto parlamentare di Canetta è molto ben argomentato e articolato. Non dispongo dei dati necessari per approfondire l’analisi di Canetta, ma una mia valutazione sommaria e prudenziale mi porta a credere che sulle spalle di Sintetica sia stato messo un debito che potrebbe ammontare a un centinaio di milioni di franchi. Se ipotizziamo che la banca in questione abbia concesso un credito a un tasso d’interesse del 10% annuo, ciò significa che Sintetica dovrebbe pagare degli interessi bancari di 10 milioni di franchi all’anno, un importo che per un’azienda di queste dimensioni rappresenta un onere insostenibile nel corso di un paio d’anni. Se del caso, si può ben capire la decisione di ridurre l’organico aziendale, licenziando 15 collaboratori nella sede aziendale di Mendrisio e 40 nel sito di Couvet, nel canton Neuchâtel.
Stando ai fatti il gruppo Ardian, proprietario di Sintetica, nel 2021 ha lanciato un fondo simile da 7 miliardi e mezzo di euro. Tra i settori chiave interessati vi è pure la sanità, assieme alla catena di produzione alimentare, alla tecnologia e ai servizi. Gruppi come Ardian sono soliti effettuare oggi operazioni di ‘leveraged buy out’? Secondo la pratica economica, si è potuto accertare qual è il destino delle aziende cosiddette ‘bersaglio’?
Ardian è un fondo di ‘private equity’ francese, tra i più importanti sul piano mondiale. Le operazioni di ‘leveraged buy out’ sono effettuate sostanzialmente per aumentare gli utili aziendali prima del pagamento delle imposte e degli interessi sui debiti accesi con gli istituti bancari. Solitamente, il destino delle aziende ‘bersaglio’ è segnato sin dalle prime fasi di queste operazioni, volte a smantellare e poi chiudere tali aziende, tranne nel caso in cui esse siano integrate in altre società attive sul piano globale, che in tal modo diventano ancora più grandi allo scopo di controllare il mercato e distorcere in svariati modi i meccanismi della concorrenza ‘pura e perfetta’, che in realtà si trova soltanto nei manuali di scienze economiche di stampo neoliberista.
Con che tipo di economia avremo a che fare nel prossimo futuro? Che cosa significherà per il Canton Ticino e gli enti locali chiamati a misurarsi con la necessità di attrarre aziende che si vorrebbero ad ‘alto valore aggiunto’?
Il sistema economico contemporaneo è sempre più influenzato dalla finanza d’assalto, ossia da una serie di istituzioni finanziarie attive sul piano globale per aumentare senza sosta i loro rendimenti nel più breve tempo possibile, distruggendo o cannibalizzando le imprese di piccole e medie dimensioni nel tessuto produttivo al fine di raggiungere tale scopo, e agendo in primo luogo sulla forza-lavoro, che viene sacrificata sull’altare degli utili aziendali e dei rendimenti finanziari, ignorando che né i macchinari sofisticati né l’intelligenza artificiale acquisteranno mai i beni e i servizi prodotti dalle imprese. Gli stipendi sono un reddito imprescindibile per la formazione dei profitti aziendali e dei rendimenti finanziari nel lungo termine, soprattutto per quanto riguarda il ceto medio, visto che la propensione al consumo delle persone molto benestanti è assai inferiore a quella delle altre classi sociali. Come si suol dire, i ricchi esistono perché ci sono dei poveri che li sostengono.
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