Alla fine del suo mandato, il presidente Joe Biden ha vantato tutti i suoi successi. Ha anche messo in sicurezza suo figlio, con una straordinaria grazia presidenziale, che non gli perdona solo il reato per cui è stato condannato, ma addirittura lo coprirà da accuse future per i reati per i quali è investigato. In compenso, ha lasciato qualche mina sul percorso del suo successore Donald Trump.
La cerimonia della certificazione del voto del Collegio Elettorale è stata esemplare, Biden e la vicepresidente (nonché candidata sconfitta) Kamala Harris hanno sottolineato l’importanza del passaggio di consegne pacifico da un’amministrazione all’altra, ricordando invece il caos di quel 6 gennaio 2021, contrassegnato dall’assalto al Campidoglio. Questo, sul piano formale. Sul piano sostanziale, giudiziario, l’attuale amministrazione ha già delegittimato il successore. Con un’azione che solo superficialmente si può considerare “indipendente”, il Dipartimento di Giustizia ha avviato dal 2022 una causa contro Donald Trump, accusando del tentativo di sovvertire una pacifica transizione di potere in quel fatidico 6 gennaio.
Jack Smith, il Consigliere Speciale (la pubblica accusa scelta dal Dipartimento di Giustizia) ha rilasciato un documento di 137 pagine in cui si dettagliano le accuse a Trump, le prove e le testimonianze raccolte nell’indagine e una conclusione chiara: «In effetti, se non fosse per l’elezione e l’imminente ritorno alla presidenza del signor Trump, l’Ufficio ha valutato che le prove ammissibili erano sufficienti per ottenere e sostenere una condanna al processo». Nel rapporto Smith afferma di “sostenere pienamente” i meriti dell’azione penale e la solidità del caso. Ha poi aggiunto che è stato solo il fatto che la Costituzione degli Stati Uniti proibisce di perseguire un presidente in carica a porre fine alla vicenda.
Il rapporto giustifica l’accusa contro Trump di «sforzi senza precedenti per mantenere illegalmente il potere» attraverso «minacce e incoraggiamento alla violenza contro i suoi oppositori». Tra gli “sforzi criminali” di Trump ci sono state affermazioni di frode elettorale che sapeva essere false. Smith nega che il caso sia stato motivato politicamente: «L’affermazione del signor Trump secondo cui le mie decisioni come procuratore sono state influenzate o dirette dall’amministrazione Biden o da altri attori politici è, in una parola, risibile».
Anche se non è dichiaratamente un atto politico, la pubblicazione di questo rapporto cosa significa? Il messaggio, in chiaro, recita: “cari concittadini americani, avete eletto un presidente che è (molto probabilmente) un eversivo golpista. Grazie al fatto che lo avete eletto, non lo posso processare. Ma sappiate che è comunque quasi certamente un eversivo golpista”. Destabilizzante, sotto tutti i punti di vista. Proprio perché il processo non si è celebrato, non sono stati ascoltati i legali di Trump, né i testimoni in sua difesa. Rimarrà solo quell’accusa, gravissima, di “mantenere illegalmente il potere” e di “minacce e incoraggiamento alla violenza” che scaveranno ancora, come un tarlo, nella coscienza degli americani, nei prossimi quattro anni. Un assist agli oppositori, ai media ostili al prossimo presidente rieletto, sicuramente una mina posta sotto la sua legittimità.
L’arma della giustizia politicizzata, che in Italia conosciamo fin troppo bene, ha fatto il suo debutto negli Usa contro Trump con l’inchiesta Russiagate (accusa di collusione con la Russia di Putin), poi finita come una bolla di sapone, ma durata per tutto il suo primo mandato. Sono poi seguiti i due voti di impeachment (un record), di cui uno postumo, ad amministrazione già conclusa (un caso unico), infine i quattro processi, di cui uno finito con una condanna in primo grado, anche questo un caso unico per un ex presidente. Ed ora, il giudizio sospeso, quell’accusa che avrebbe potuto diventare condanna “se solo non fosse stato eletto” è la ciliegina sulla torta. Ma è solo Trump, secondo i suoi accusatori, che non accetta la sconfitta.
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