Non è facile fondere insieme sonorità post punk che rincorrono gli ideali dell’anarchia e del comunismo, la new wave italiana, la beat techno e gli strumenti etnici. Sembra riuscirci Cigno, al secolo Diego Cignitti, cantautore romano che questa sera porterà la sua opera ambiziosa questa sera (concerto alle 21) al Mercato Nuovo di Taranto, dove presenterà il nuovo album “Buonanotte Berlinguer”. Pubblicato lo scorso ottobre, il disco rappresenta il capitolo conclusivo di una trilogia discografica iniziata con “Morte e pianto rituale” nel 2022 e proseguita con “Nada! Nada! Nada!” nel 2023. Composto da tredici tracce, il nuovo lavoro di Cigno rappresenta un’opera complessa, che richiede un ascolto attento e aperto. Riff taglienti e ritmiche industrial, chitarre elettriche e bassi distorti. Strumenti etnici, che evocano i cori e il silenzio. Un’esperienza musicale, dove atmosfere delicate si trasformano in incubi apocalittici, in una ninna nanna che stravolge ogni punto di riferimento. Cigno si presenta come un artista capace di osare, di rompere gli schemi e di proporre una visione musicale e culturale che non ha paura di confrontarsi con il caos del presente. Affronta temi politici, etici e spirituali, che spaziano dalla politica alla spiritualità, dall’etica al sociale e si intrecciano in una visione personale e universale. Il titolo, “Buonanotte Berlinguer”, evoca un dialogo immaginario con il passato, un richiamo a ideali e valori ormai rari nel panorama contemporaneo.
Ti hanno mai detto che ricordi Giovanni Lindo Ferretti?
«Sì, assolutamente. Quello che è uscito fuori rimanda moltissimo ai CCCP, non era nelle mie intenzioni ma, se fai una roba spoken o comunque recitata con quella musica lì è normale che rimandi a Lindo Ferretti».
Quali sono le tue fonti artistiche?
«Einstürzende Neubauten, Nick Cave, Capossela».
“Buonanotte Berlinguer” è molto evocativo, sei riuscito ad essere un po’ vintage nonostante la tua versione postmoderna. Cosa rappresenta per te questo titolo e come si lega ai temi dell’album?
«L’amore per un certo gusto nel passato, che si lega un po’ alla generale retromania. Berlinguer è morto da 40 anni, ma io volevo esprimere una chiusura totale con il passato. Il mio è una sorta di funerale della sinistra, per provare a rinascere e non rimanere bloccati nella nostalgia. Di recente c’è stata la mostra su di lui e anche il film, si dice che se qualcosa diventa un museo vuol dire che è morto completamente. Questo album vuole essere un commiato ad un grande personaggio politico, ma anche alla sinistra che sapeva interagire con la classe proletaria. Quel tipo di sinistra che oggi non c’è più, lasciando spazio alla sinistra che si è venduta alle banche, che ha fatto patti politici, alla deturpazione totale di quella che Berlinguer chiamava “questione morale”. Una sinistra da centro commerciale».
Il tuo nuovo album chiude una trilogia iniziata con “Morte e pianto rituale” e “Nada! Nada! Nada!”. Qual è il filo conduttore tra questi lavori?
«L’ho chiamata trilogia sul nulla, è difficile parlare del nulla, però sicuramente è la sensazione di una morte interiore, un sentimento comune. Questo progetto è iniziato durante il Covid, periodo in cui c’era una guerra invisibile. Il primo lavoro si legava a quello di Ernesto De Martino, quindi al libro “Morto e pianto rituale”, alle sue spedizioni in Lucania, ma anche in Puglia, allo studio del Tarantismo e quindi era quasi un’evocazione a questi spiriti sopiti. Con Nada Nada Nada c’è stata una rottura completa, un disco attinto dalla rabbia che ti porta dalla cima della montagna al trovare il nulla, per citare San Juan de La cruz ne “La salita del Monte Carmelo”. Poi ho parlato degli eretici moderni come Anna Beniamino che è ancora purtroppo in galera, oppure Stefano Cucchi che è stato ucciso dai carabinieri. Insomma, le eresie moderne che vengono punite dagli inquisitori nella nostra società. E per chiudere, “Buonanotte Berlinguer”».
Hai mescolato generi musicali molto diversi. Come riesci a far convivere elettronica, strumenti etnici e atmosfere post punk in un unico progetto?
«Bisogna fallire tante volte, i brani e i dischi venuti fuori sono il frutto di mille fallimenti quotidiani, di prove, di esperimenti. È da qui che viene la creatività per me».
Qual è il tuo sogno più grande come artista?
«Di sperimentare ancora e di non ripetermi».
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