Leggi il rapporto “Cos’è successo a COP29: i risultati della Conferenza delle Parti di Baku”
È servito continuare fino alle 2:40 del mattino del 24 novembre, ovvero un giorno e mezzo oltre il calendario ufficiale, perché le parti trovassero un accordo sui nuovi impegni di finanza per il clima e per concludere dunque la ventinovesima conferenza ONU sui cambiamenti climatici, la COP29.
Tra i risultati della COP29, il protagonista è il nuovo obiettivo di finanza per il clima (New Collective Quantified Goal – NCQG), con il quale il mondo si è impegnato a mobilitare almeno 300 miliardi di dollari l’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contrastare il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Il testo finale parla inoltre di “assunzione di un ruolo di guida” da parte dei Paesi sviluppati per portare il mondo al raggiungimento di questo obiettivo, mentre i Paesi in via di sviluppo potranno contribuirvi su base volontaria.
Nell’accordo è stata inserita anche la Roadmap Baku-Belém, con l’obiettivo di stimolare la cooperazione internazionale per un progressivo aumento delle risorse finanziarie, da fonti sia pubbliche sia private, da destinare i Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo della Roadmap è quello di raggiungere 1.300 miliardi di dollari l’anno di finanza per il clima entro il 2035.
I risultati di COP29: non solo finanza
Il testo sull’NCQG è solo una parte del documento finale che è stato approvato alla COP29. Questo pacchetto, chiamato Baku Climate Unity Pact, include anche un accordo sulla mitigazione (cioè la riduzione delle emissioni principalmente attraverso la transizione energetica), il Mitigation Work Programme, e uno sull’adattamento al cambiamento climatico, il Global Goal on Adaptation. Vi è però frammentazione fra alcuni capitoli dell’accordo, come ad esempio la mancanza di un collegamento diretto tra l’obiettivo di finanza per il clima e quello per l’adattamento, che indeboliscono il testo finale.
A COP29, risultati importanti sono stati raggiunti anche nell’ambito dei mercati del carbonio, con uno sblocco parziale dei lavori sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, voluta fortemente dalla Presidenza azera. Tuttavia, la necessità di trovare un’intesa entro la chiusura dei lavori ha compromesso un miglioramento dei meccanismi di trasparenza e accountability, che ha portato molte Parti ad interrogarsi sull’effettiva efficacia del meccanismo nel ridurre le emissioni di CO2.
Sul tema del nesso tra clima e disuguaglianze di genere, invece, è stato adottato il Lima Work Programme, per la definizione di un piano d’azione sulle questioni di genere (Gender Action Plan, o GAP) per la COP30 di Belém.
La COP29 ha invece fallito su altri temi, le cui discussioni sono rinviate ai prossimi appuntamenti di diplomazia climatica. I negoziati sullo UAE Dialogue, l’accordo siglato alla COP28 di Dubai per l’abbandono delle fonti fossili, non hanno portato a nessuna intesa tra le Parti. In particolare, non sono stati trovati compromessi sulle azioni da intraprendere alla luce del bilancio sulla transizione stilato l’anno scorso, il Global Stocktake, né sul Just Transition Work Programme. I dialoghi su questi due punti verranno ripresi a Bonn, in cui tradizionalmente a giugno si svolgono gli incontri preparatori per la COP successiva.
Ricordiamo che il Global Stocktake ha rappresentato un risultato storico alla COP28: per la prima volta si è parlato di “uscita delle fonti fossili” (transitioning away). A Baku, i Paesi hanno invece fallito nel dare seguito a questo impegno, e la necessità di abbandonare le fonti fossili non è stata ribadita esplicitamente nel testo finale. Durante i negoziati, diverse Parti hanno infatti rifiutato l’adozione di un accordo giudicato non abbastanza ambizioso, augurandosi che rimandare la discussione al 2025 possa portare ai risultati sperati.
Gli incontri di giugno 2025 di Bonn tratteranno anche di finanza, in particolare del Fondo per l’adattamento e del Fondo per le perdite e i danni (Loss and damage, L&D), per i quali a Baku sono stati assunti impegni insufficienti e inconclusivi.
Le reazioni
I risultati della COP29 hanno suscitato reazioni diverse tra le Parti. Ad esprimere un forte disappunto sono proprio i Paesi in via di sviluppo, che hanno giudicato l’obiettivo di finanza per il clima ampiamente inferiore rispetto ai bisogni. L’India, poco dopo il suono del martelletto a conclusione della COP29, ha criticato fortemente la decisione, parlando di “risorse misere”, insufficienti per affrontare le sfide enormi poste dai cambiamenti climatici. Anche Cuba, la Bolivia e la Nigeria hanno espresso il loro disappunto, spiegando come, tenendo conto dell’inflazione, i 300 miliardi non rappresentino nemmeno il triplo del precedente obiettivo di 100 miliardi, raggiunto nel 2009 alla COP15. Una reazione (moderatamente) positiva è invece arrivata dall’Unione europea, che ha parlato di accordo eccezionale se si considera il difficile contesto politico mondiale che ha fatto da cornice al suo raggiungimento.
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
La reticenza dei Paesi sviluppati nel mobilitare risorse finanziarie per i Paesi in via di sviluppo rischia di ritardare la transizione e lo sviluppo economico (e quindi la lotta alla povertà). Tuttavia, il fatto che il testo finale, grazie alla Roadmap Baku-Belém, menzioni le “migliaia di miliardi” (trillions) necessarie per la transizione è un segnale positivo: solo tre anni fa, quando si avviarono le discussioni sull’NCQG, l’idea era inimmaginabile. Ci sono dunque segnali che le cose si stiano muovendo, e non solo all’interno dell’UNFCCC: il tema diventa centrale anche nei dibattiti delle istituzioni finanziare e monetarie internazionali, come le banche multilaterali di sviluppo e l’Agenzia internazionale per lo sviluppo (International Development Association, IDA) della Banca mondiale.
Il compromesso raggiunto con il testo sull’NCQG non assicura appieno il sostegno alle trasformazioni che il mondo necessita, tra cui l’attuazione di strategie nazionali sufficientemente ambiziose per rientrare nel target di 1,5°C (i cosiddetti Nationally determined contributions, NDC), ma rappresenta comunque una solida base, non solo finanziaria, su cui costruire una cooperazione efficace nei prossimi anni.
Per di più, i risultati di Baku sono stati raggiunti in un contesto di estrema instabilità politica internazionale, il che dimostra comunque un alto grado di flessibilità diplomatica da parte dei Paesi che, pur partendo con posizioni spesso molto divergenti, hanno creduto nei meccanismi multilaterali dell’ONU, riaffermandone in questo modo la loro importanza.
COP29: diamo un senso a ciò che è accaduto
L’ottenimento di questi risultati alla COP29 è stato il frutto anche dell’impegno di un piccolo numero di Paesi che, dietro le quinte, ha mediato fra i vari gruppi e alleanze in seno all’UNFCCC per colmare i divari fra le posizioni. Le tensioni globali e i risultati delle elezioni statunitensi avevano gettato un’ombra di pessimismo sull’esito dei negoziati, e il comportamento della presidenza azera della COP29 secondo molti non ha contribuito a rasserenare gli animi: in plenaria, l’India ha definito tutto il processo COP29 “gestito a tavolino”, mentre l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS) e diversi Paesi meno sviluppati, ritenendo la loro voce non sufficientemente presa in considerazione, hanno temporaneamente abbandonato i negoziati. Anche la posizione dei Paesi sviluppati non è stata particolarmente incoraggiante: per tutta la durata della conferenza, questi non hanno infatti mai avanzato una proposta quantificata (in dollari) di NCQG, con somma frustrazione dei Paesi del Sud globale. Sono stati però alcuni Paesi in via di sviluppo a prendere in mano la situazione e a mostrarsi protagonisti. Gli sforzi della Colombia, del Kenya, del Brasile, della Cina, di Barbados (ma non solo), sono stati fondamentali per ottenere i risultati della COP29; da segnalare anche, per il cosiddetto Nord globale, l’impegno profuso dal Regno Unito.
Le discussioni sulle finanze si stanno evolvendo, ma la reticenza dei Paesi sviluppati a fornire sostegno rallenta la transizione verso lo sviluppo sostenibile e l’eliminazione della povertà. Tuttavia, tre anni fa, quando sono iniziate le discussioni del NCQG, sarebbe stato inimmaginabile parlare di un fabbisogno di migliaia di miliardi. L’accordo di tutte le Parti, sostenuto da valutazioni indipendenti, su un obiettivo aspirazionale di migliaia di miliardi di dollari è un risultato importante. Anche i segnali che provengono dall’esterno dell’UNFCCC indicano che le cose si stanno muovendo (ad esempio, le MDB, le fonti di finanziamento innovative, la riforma dell’IFA) sono incoraggianti. Tuttavia, come i Paesi in via di sviluppo hanno sottolineato durante tutta la COP, l’accesso e la qualità dei finanziamenti rimangono questioni fondamentali, e il testo finale sul NCQG non fornisce la garanzia che i finanziamenti pubblici, basati su sovvenzioni, saranno forniti dai Paesi sviluppati. È importante, dunque, che i progressi compiuti nelle discussioni prima e durante la COP29 siano sfruttati in futuro, anche nell’ambito della Roadmap Baku-Belém.
All’urgenza degli effetti del cambiamento climatico non corrisponde un livello di attenzione e di finanziamento adeguato. Durante il proprio discorso alla COP29, un leader dopo l’altro ha parlato dell’impatto del cambiamento climatico sulla popolazione, dando risonanza alle richieste dei propri cittadini. Tuttavia, non è stata intrapresa quasi nessuna azione per trasformare queste preoccupazioni in risultati tangibili che possano fare la differenza. Il Fondo per l’adattamento e il Fondo perdite e danni hanno ricevuto impegni molto limitati e la maggior parte dei punti all’ordine del giorno si è conclusa con dettagli procedurali da approfondire a Bonn.
Il Global Stocktake (GST), adottato alla COP28, fornisce una serie di risposte alla crisi climatica, tra cui la transizione dai combustibili fossili e il blocco e l’inversione della deforestazione entro il 2030, ma la COP29 non è riuscita a portare avanti questi impegni. Nel testo finale non sono infatti presenti gli elementi che sono invece stati al centro di numerosi interventi delle Parti alla COP29. Molti Paesi hanno sottolineato il bisogno di finanziamenti per l’attuazione del GST, mentre altri hanno cercato di attirare maggiormente l’attenzione su parti specifiche del documento. Il tutto si è risolto con un disaccordo che ha impedito l’adozione di una decisione in merito e il rinvio delle discussioni al 2025.
L’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale inferiore a 1,5°C è precario. Tutti gli studi, così come il bilancio stilato nel 2023 con il GST, mostrano che non siamo sulla buona strada a causa di strategie nazionali (NDC) insufficienti. Si aggiunge ora un NCQG poco ambizioso, che rischia di creare ulteriore sfiducia nei governi, nelle popolazioni e nelle aziende. Abbiamo però chiari il compito che ci attende: serve concepire per la COP30 degli NDC all’altezza, allineati con la traiettoria 1,5°C. La comunità internazionale deve continuare a mobilitarsi basandosi sulle verità scientifiche, assicurandosi che il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) continui a guidare il lavoro delle Parti e il processo delle Nazioni Unite sul clima. La Roadmap Baku-Belém, inoltre, potrà rivelarsi uno strumento chiave con il quale affrontare le carenze dell’NCQG di Baku.
Leggi il rapporto completo dei risultati della COP29
Foto di COP29 Azerbaijan
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link